Donald Sterling, Marcello Dell'Utri e le distorsioni della giustizia

di Davide Zanardi.
Forse qualcuno in questi giorni ha sentito parlare di un tale chiamato Donald Sterling. Si tratta del proprietario di una delle più importanti società di basket della California, i Los Angeles Clippers, che è stato pizzicato a pronunciare durante una telefonata alcuni commenti razzisti. Ebbene, mister Sterling ora non è più il padrone della squadra: la Nba, l'associazione del basket professionistico americano, lo ha radiato a vita, vietandogli anche semplicemente di assistere a partite o allenamenti e infliggendogli una multa di 2,5 milioni di dollari.

Siamo nel puro ambito della giustizia sportiva, sia chiaro, ma le conseguenze del gesto dello sciagurato (ex) Presidente sono abbastanza eloquenti. Guarda caso, in questi giorni in Italia un altro personaggio è tornato in risalto per vicende giudiziarie, e decisamente più serie di quelle di Sterling: Marcello Dell'Utri, condannato in secondo grado a 7 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa e latitante da alcune settimane a Beirut, dove è stato infine arrestato. 
Se si potesse usare una metafora, si potrebbe dire che la giustizia americana è un'anziana maestra severa, quella italiana è uno “zio grullo” che si regge in piedi a malapena e ne spara una più grossa dell'altra. La vicenda Sterling è emblematica. In linea generale negli Stati Uniti, così come in una discreta fetta di mondo, raramente chi infrange le regole la fa franca. Potrà anche in certi casi evitare il carcere, ma viene comunque “bollato” come uno che ha ingannato il proprio popolo. Con le relative conseguenze. E soprattutto, è praticamente impossibile che chi ha avuto a che fare con la giustizia, possa ricoprire un ruolo nell'ambito governativo-istituzionale. Cosa che da noi è all'ordine del giorno, col proliferare di indagati, condannati, maxi-evasori e delinquenti di vario genere che siedono pacificamente sulle poltrone più importanti: quelle dei Ministeri, del Parlamento, dei Consigli regionali. 
Un ultimo aspetto, forse ancora più inquietante, è legato alla vicenda di Dell'Utri: il processo che lo vede accusato di avere tessuto relazioni con organizzazioni mafiose è iniziato nel 1994 e deve ancora arrivare al grado definitivo di giudizio.
A prescindere da quello che sarà il verdetto finale, le conclusioni sono lapidarie: o si sta perseguitando un innocente da 20 anni, oppure sono 20 anni che un mafioso occupa un posto in Parlamento. In entrambi i casi, è l'istituzione giudiziaria stessa ad auto-dichiarare il proprio fallimento.