Saronio, la storia della fabbrica del Duce: una pesante eredità fatta di veleni e tumori
Chimica Saronio, un secolo tra luci, molte ombre e segreti militari. Terza parte. Inchiesta di Elisa Barchetta.
17 dicembre 2018
«Per fare i coloranti usavano l’acido solforico, il benzolo, il mercurio e anche l’anilina...»
Un altro ex dipendente dell’Industria Chimica dr. Saronio, intervistato sempre da 7giorni, ha dichiarato: «Io sono entrato quindicenne a fare il fattorino alla Saronio di Melegnano e dopo sette anni sono passato impiegato all'ufficio esportazione e facevo le fatture estere per i coloranti che spedivamo. Per fare i coloranti usavano l’acido solforico, il benzolo, il mercurio e anche l’anilina, che era pericolosissima e so che gli scarti di lavorazione andavano a finire tutti nel Lambro. Poi lì vicino a Riozzo c’erano le vasche di decantazione ma tutta la porcheria finiva nel Lambro. L’unica protezione per gli operai che c’era era quella di dare mezzo litro di latte al giorno a quelli che stavano dove facevano i coloranti. Io mi ricordo una cosa particolare: tutti gli operai che lavoravano nei reparti, specialmente dove tritavano i coloranti che poi volavano via dappertutto, erano tanti che venivano fuori Melegnano, dalle zone limitrofe vicine… erano più di mille dipendenti e non portavano mai la camicia bianca perché il fisico rimaneva impregnato di tutti i coloranti. Mi ricordo che, quando suonavo nella banda e andavamo fuori, non li riconoscevo quando uscivano dalla Chimica perché erano tutti colorati; perché il colorante si attaccava alla pelle. La documentazione su quello che veniva fatto anche fra la parte di Riozzo e di Melegnano della Chimica e tutto il resto era in mano al dottor Saronio, noi non sapevamo nulla. Io sapevo solo che anche a Riozzo facevano dei prodotti, perché andavo lì a far firmare il registro per le presenze durante la pausa pranzo (non c’era allora il cartellino da timbrare) che durava due ore e lì trovavo il chimico e un impiegato e poi portavo il registro a Melegnano. Mi chiedo come facciano a sapere a che profondità andare per cercare l’inquinamento perché nel tempo chissà che infiltrazione hanno avuto quelle porcherie lì. Anche ai tempi in termini di inquinamento non c’era nessuno che controllava da nessuna parte. La Chimica occupava un’area di un chilometro quadrato e i reparti erano tanti, quindi chissà cosa c’è ancora che non hanno scoperto! Noi avevamo tra i clienti che compravano i coloranti i Marzotto, tutto il distretto Biellese, compravano camion di coloranti dalla Saronio e poi lavoravamo molto per l’estero. I coloranti venivano trasportati nei bidoni, o in fusti di legno o di ferro. Facevamo la fatturazione estera e dovevamo dichiarare il contenuto, il tipo di imballo e la pericolosità del prodotto, quelli di classe 6 erano pericolosi e quelli corrosivi erano di classe 9 e avevano fusti appositi perché quando partiva il camion doveva esserci tutta la documentazione sulle procedure per annullare la pericolosità dei prodotti in caso di incidente. Per noi però non c’era nulla in termini di sicurezza. Mio suocero era il capo officina e abitava vicino alla Chimica, ricordo che avevano una pianta di albicocche e io ne ho mangiate tante… ora mi domando chissà che robe ho mangiato con le polveri impalpabili dell’azienda che ci saranno andate su quando uscivano dalle ciminiere, a Melegnano ce n’erano sette. Quello che faceva e che ha provocato in realtà la Chimica Saronio lo abbiamo scoperto dopo. A Riozzo c’erano solo due reparti invece, solo per fare i gas bellici e in tempo di guerra so che c’erano dentro uno del Fascio e anche uno dei tedeschi a controllare. Per eliminare gli scarti non dovevamo fare nulla a livello di documentazione, buttavamo nella fogna che passava sottoterra e collegava la parte di Melegnano a quella di Riozzo e via andava a finire tutto nel Lambro. Anche le vasche di decantazione vicino a Riozzo erano piene di porcheria, roba liquida, spessa, che faceva di quella puzza che non parliamone. A Melegnano solo c’erano la bellezza di venti chimici. Io ho avuto tanti amici che si sono ammalati di tumore, ci facevano la visita apposita per i tumori, soprattutto a quelli che lavoravano in alcuni reparti dove venivano fatti i prodotti più pericolosi. Ne sono morti tanti, solo che allora tante cose non si sapevano, le protezioni non c’erano… Mi ricordo che in uno dei reparti, non so cosa facessero lì dentro, è scoppiato addirittura un incendio che ha colpito un operaio che poi è morto per le ustioni gravi. Poi tanti operai sono morti in tempo di guerra perché bevevano l’alcool che veniva usato per la produzione di coloranti e per non farlo bere agli operai gli mettevano dentro delle sostanze velenose e alcuni sono morti avvelenati. Poi la Chimica era molto rinomata, perché le ricette per alcuni coloranti erano migliori di quelle di altre ditte, tanto che non venivano divulgate all'esterno… ma i danni che ha fatto sono stati tanti. La Chimica esportava in tutto il mondo – India, Pakistan, America – quindi le compagnie di navigazione volevano tutta la documentazione prima di imbarcare i prodotti. Alle industrie della moda invece interessava solo avere il colorante finito, poi di tutto il resto non gli importava nulla. Io penso che non arriveranno mai a scoprire tutto».
Nel 1977 due fatti fondamentali: gli esiti della ricerca sui carcinomi vescicali
Tutto questo, forse, oggi potrebbe non destare meraviglia ma nel 1977 – a distanza di dieci anni dalla chiusura e dal conseguente smantellamento dello stabilimento di Melegnano – sicuramente le cose andarono diversamente. Infatti è proprio in quell'anno che avvengono due importantissimi fatti. In primo luogo il Consorzio Sanitario di Zona, che aveva condotto una ricerca sui carcinomi vescicali tra gli ex dipendenti della fabbrica, ne presenta gli inequivocabili risultati all'Assessorato regionale alla Sanità. Quest’ultimo quindi convoca dei rappresentanti del Comune di Melegnano con un telegramma, per valutare la relazione del Csz e gli interventi necessari per la tutela dei lavoratori: secondo quanto accertato anche dal Servizio Medicina Ambiente di Lavoro (Smal) infatti – organismo nato da precise richieste portate avanti dalla classe operaia (come si legge a pagina 12 del numero 10 della rivista “Medicina Democratica” del periodo aprile-giugno 1978 – si parla di tre volte la mortalità media nazionale per questo tipo di tumore, anche se i dati potevano già essere sottostimati poiché relativi solo a un centinaio di ex dipendenti della Chimica che era stato possibile rintracciare, mentre il numero di addetti dell’azienda era molto superiore e certamente molte malattie e cause di morte non erano ancora diagnosticate. L’aspetto importante di questa ricerca è che evidenzia come all'origine di questo tipo di tumori erano le cosiddette ammine aromatiche (come ad esempio la benzidina o la beta-naftilamina), sostanze chimiche fondamentali per la produzione di coloranti per tessuti, che la Chimica Saronio utilizzava senza misure di sicurezza e prevenzione per i propri dipendenti né tantomeno nei confronti dell’ambiente, per quanto riguardava lo sviluppo di vapori e polveri. Della correlazione tra ammine aromatiche ne parla anche il Gruppo di lavoro amine aromatiche in un articolo presente proprio all'interno del numero 10 della rivista “Medicina Democratica” sulle cosiddette fabbriche del cancro, nel quale trattando in particolare dell’Azienda coloranti nazionali e affini (Acna) di Cesano Maderno viene menzionata anche la Saronio di Melegnano: a pagina 10 si può leggere infatti che «l’effetto cancerogeno delle amine aromatiche è ben noto fin dal 1894».
Nel 1977 due fatti fondamentali: viene portato alla luce il primo deposito di sostanze tossiche
In secondo luogo, alla fine di novembre dello stesso anno si riaprono realmente i conti fra l’Industria Chimica Saronio e i comuni di Melegnano e Cerro al Lambro quando, durante i lavori per la costruzione della linea veloce delle Ferrovie dello Stato (Fs) viene portato alla luce un deposito di sostanze altamente tossiche; è uno dei primi ritrovamenti di discariche abusive di rifiuti tossici industriali in provincia di Milano. Nello specifico l’amministrazione comunale ordina l’interruzione dei lavori all'impresa appaltatrice Costruzioni Generali Prefabbricate di Milano perché il Consorzio sanitario di zona aveva segnalato al Comune il ritrovamento di diverse stratificazioni di fanghi residui della produzione dell’Industria Chimica nell'area interessata dagli scavi della linea veloce al confine tra i territori di Melegnano e Cerro al Lambro. Come risulta da un’elaborazione su rilievo aerofotogrammetrico del 1988 si trattava esattamente della discarica dell’Industria Chimica Saronio. Il Csz compie dunque un sopralluogo sull'area interessata, prelevando alcuni campioni di terreno, e l’esito delle analisi arriva nel 1978 confermando la presenza di ammine aromatiche nell'area della discarica. Inoltre lo stesso Csz aveva denunciato al Comune di Melegnano l’asportazione e il trasferimento, da parte dell’impresa appaltatrice Cgp, dei fanghi tossici lungo la sponda del Lambro. Il Comune interrompe quindi anche questa asportazione e nel luglio 1978 ordina all'azienda Cgp di riportare nella discarica quanto era stato trasferito lungo il Lambro (nell'area che originariamente era occupata dalle vasche di decantazione dell’Industria Chimica) secondo precise prescrizioni sanitarie.
Il programma comune per i prelievi sulla nuova linea veloce Fs
Gli enti coinvolti decidono quindi di convergere su un programma che preveda una campagna di prelievi più ampia e nel novembre del 1978 l’Ufficiale Sanitario di Melegnano dispone una nuova analisi con una campionatura completa effettuando ventidue prelievi complessivi, venti nell'area della discarica (che in parte ricadeva sul territorio del Comune di Melegnano e in parte su quello di Cerro al Lambro) e due effettuati sull'area delle ex vasche di decantazione lungo la sponda del Lambro, rientrante nel Comune di Cerro. Nel frattempo l’amministrazione comunale di Melegnano, dopo un infruttuoso incontro in Municipio con due ex dirigenti dell’Industria Chimica, il dottor Mochi e l’ingegner Vinello (che si dimostrano molto vaghi ed evasivi sia sull'attività della fabbrica sia sulla discarica), chiede ufficialmente all'Acna-Montecatini di fornire informazioni in merito alle lavorazioni e ai prodotti dell’ex Industria Chimica; il 4 aprile del 1979 l'Acna risponde di non avere più alcuna documentazione in merito.
Gli esiti delle analisi confermano la presenza di ammine aromatiche
Nel luglio del 1981 l’esito delle analisi sui prelievi effettuati quasi tre anni prima conferma la presenza di ammine aromatiche in quantità pari a un milligrammo per ogni chilogrammo di terra. Occorreranno circa dieci anni per mettere in sicurezza l’area della discarica lungo il tracciato della linea veloce delle Fs: dopo una lunga fase preliminare per progettare l’intervento, la Regione se ne assume il costo mentre i comuni di Melegnano e Cerro al Lambro devono provvedere all'esproprio delle porzioni di terreno della discarica coinvolte dall'inquinamento ricadenti sui rispettivi territori ed esterne all'area già acquisita dalle Ferrovie dello Stato per la costruzione della nuova linea nonché al reperimento delle risorse finanziarie necessarie. Per queste aree il progetto si basava sul presupposto, condiviso anche dalle autorità sanitarie, che fosse più sicuro il confinamento dei terreni inquinati piuttosto che una loro asportazione o movimentazione anche perché questi erano separati dalla falda acquifera da strati di terreno argilloso. L’intervento prevedeva che l’area contaminata venisse circoscritta, coperta con sabbia e teli impermeabili e che ci fosse una raccolta controllata dell’acqua piovana. I lavori terminano alla fine di giugno del 1998, mentre gli interventi sulla zona delle ex vasche di decantazione dell’Industria Chimica lungo la sponda del Lambro e ricadenti nel comune di Cerro al Lambro vengono rinviati a una fase successiva a causa del lievitare dei costi. Intanto all'interno del Parco delle Noci, l’area verde nel quartiere Cipes tra via Togliatti e via Don Giovanni Minzoni, avviene un altro ritrovamento di terreni inquinati dall'ex Industria Chimica Saronio che l’amministrazione comunale di Melegnano, trattandosi di una zona circoscritta, provvede a bonificare a proprie spese (spostando in sicurezza il materiale inquinato e facendolo poi smaltire), con lo stanziamento di 65 milioni di lire nel bilancio del Comune.
Elisa Barchetta
Fonti:
Comune di Melegnano, "Le grandi fabbriche a Melegnano", Melegnano, 2000
Giovanna Longhi (in collaborazione con Carlo Marchesoni), "L'Industria Chimica Saronio a Melegnano", luglio 1998
Gruppo di lavoro amine aromatiche "Le fabbriche del cancro: Acna" in Movimento lotta per la salute, “Medicina Democratica”, rivista n° 10, aprile-giugno 1978
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17 dicembre 2018