Cold case di Milano: intrigo internazionale a San Felice di Segrate, un enigma lungo quasi 40 anni
Era l'estate del 1985, precisamente il 13 agosto, quando Mohammed Al Jarrah, un ricco imprenditore siriano, e Sabina Menis, la figlia diciassettenne della sua compagna, vennero brutalmente assassinati nel loro lussuoso appartamento a San Felice, una tranquilla zona alle porte di Milano, dietro l'Idroscalo. A distanza di 32 anni, il mistero di quel duplice omicidio rimane irrisolto, avvolto da sospetti di traffici illeciti e ombre internazionali.

22 ottobre 2024
Mohammed Al Jarrah: una figura enigmatica
Al Jarrah, di origine siriana, era noto per la sua vita agiata, il suo fascino e le sue maniere eleganti. Conduceva un'esistenza lontana dall'ostentazione, pur possedendo oggetti di lusso e un vasto patrimonio. Viveva a Milano in Strada Settima, zona Idroscalo, al civico 35, in un appartamento arredato con mobili pregiati, gioielli e monili d'oro. Il suo garage ospitava una Maserati, una spider e due utilitarie più modeste. Nonostante la discrezione nei modi, si diceva che Al Jarrah fosse amico di figure potenti del mondo arabo, tra cui membri della famiglia reale saudita e siriana, e persino del famoso magnate Adnan Khashoggi.
Pur essendo ufficialmente architetto, arredatore e commerciante, l'origine della sua fortuna destava sospetti. La sua attività di import-export si limitava ad una serie di società con sedi legali in Italia e in Svizzera, tutte aperte e chiuse in tempi brevi, senza personale, recapiti telefonici o uffici operativi. Questa apparente opacità ha da sempre alimentato ipotesi su possibili traffici illeciti, inclusi armi o droga.

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Il giorno del delitto
Il 13 agosto, Al Jarrah e Sabina si erano recati a visitare Norina Menis, la compagna dell'imprenditore, ricoverata all'Istituto dei Tumori. Il loro piano prevedeva di partire per Lugano dopo la visita, con il ritorno previsto due giorni dopo Ferragosto. Tuttavia, in Svizzera non arrivarono mai.
Al loro rientro a casa, i due furono sorpresi da un assassino armato di pistola calibro 7,65 con silenziatore. Al Jarrah venne colpito in camera da letto da tre proiettili, uno dei quali mortale alla carotide. Sabina, colpita da quattro colpi, morì sul colpo. Entrambi cercarono di trascinarsi via, ma furono sopraffatti dalle ferite. L'assassino, dopo aver tagliato i fili del telefono per impedire eventuali richieste di soccorso, sparì nel nulla senza lasciare traccia. L'appartamento non mostrava segni di effrazione e l'omicida chiuse la porta blindata dall'interno, utilizzando probabilmente un mazzo di chiavi trovato in casa.

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Il ritrovamento dei corpi
Il silenzio preoccupò Norina Menis, che, non riuscendo a mettersi in contatto con Al Jarrah e la figlia, il 17 agosto inviò degli amici a controllare l'appartamento. Fu allora che i corpi senza vita di Al Jarrah e Sabina furono ritrovati in avanzato stato di decomposizione. La scena del crimine lasciò perplessi gli investigatori: nell'appartamento, nonostante fosse colmo di oggetti preziosi, nulla era stato rubato. Tuttavia, mancavano alcuni documenti personali, il portafoglio di Al Jarrah e una ventiquattrore contenente carte importanti.
Durante le perquisizioni, vennero trovati diversi passaporti e patenti intestate all'imprenditore, con date e luoghi di nascita differenti, alimentando ulteriori dubbi sulla sua vera identità. Nonostante la ricchezza sfoggiata, la sua vita professionale rimaneva un enigma, con numerosi conti correnti sparsi tra Svizzera, Italia e Regno Unito, apparentemente scollegati dalle sue attività ufficiali.
Indagini ed ipotesi
L'inchiesta iniziale non portò a risposte chiare. Né Norina Menis né Raghed, il figlio di Al Jarrah residente a Lugano, fornirono dettagli utili agli investigatori. Le autorità si concentrarono su Raghed per alcuni screzi recenti col padre e per il fatto che possedeva un mazzo di chiavi dell'appartamento di San Felice. Tuttavia, non emersero prove sufficienti e Raghed uscì presto dall'elenco dei sospettati.
Le indagini si concentrarono sulla possibilità di un legame tra l'omicidio e i presunti traffici internazionali di Al Jarrah. Nonostante l'assenza di prove concrete, l'ipotesi prevalente era quella di un regolamento di conti legato al traffico di armi o droga, anche se i contorni dell'indagine rimasero sempre sfocati. La mancanza di elementi tangibili portò presto a un vicolo cieco, e il caso venne archiviato come irrisolto.

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La morte di Raghed e nuove rivelazioni
Due anni dopo il duplice omicidio, nell'ottobre del 1987, il corpo di Raghed Al Jarrah venne ritrovato senza vita nel suo appartamento di Lugano. Il giovane aveva solo 22 anni e studiava in un prestigioso istituto svizzero. La sua morte, sebbene ufficialmente attribuita a cause naturali, sollevò ulteriori sospetti, specialmente alla luce del coinvolgimento di Raghed in un'inchiesta della Procura di Brescia su un traffico internazionale di armi. Il giovane aveva infatti ereditato dal padre una delle società, la Mja, ufficialmente attiva nel commercio di giocattoli, ma che, secondo alcune testimonianze, nascondeva traffici di kalashnikov e penne-pistola.
La vicenda di Raghed riaccese l'attenzione su quanto accaduto al padre e a Sabina, ma anche questa volta le indagini non portarono a nulla di concreto.

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Il pentito e il silenzio finale
La svolta sembrò arrivare anni dopo, grazie alle rivelazioni del pentito di mafia Rosario Spatola. Spatola, durante una deposizione al giudice Paolo Borsellino, dichiarò di aver conosciuto personalmente Raghed e di sapere che era stato proprio lui a uccidere il padre e Sabina. Secondo il pentito, la causa dell'omicidio era legata a disaccordi sorti all'interno di un traffico di armi che i due gestivano insieme. Tuttavia, la morte di Borsellino e quella dello stesso Spatola portarono ad un'ulteriore battuta d'arresto nelle indagini, e la possibilità di risolvere il caso svanì.
Nonostante le rivelazioni e i sospetti, il duplice omicidio di San Felice rimane ancora oggi uno dei grandi misteri irrisolti della cronaca nera italiana.
Stefano Brigati
Stefano Brigati

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22 ottobre 2024