Sette colpi nella notte: la morte silenziosa della “Brigitte Bardot” di Milano
Una vita ai margini, un delitto feroce e una scia di domande senza risposta. Chi ha ucciso Lalla?

04 novembre 2024
Era conosciuta da tutti come "Lalla la barbona" o, per i più fantasiosi, la "Brigitte Bardot" di Milano. La sua vita si svolgeva tra Piazza Irnerio e Piazza Tripoli, dove aveva trovato una casa all'aperto tra panchine e siepi. A scaldarla nelle notti gelide c'era solo il fuoco di un falò, alimentato da giornali vecchi, e bottiglie di birra vuote. Vitalia Melis, questo il suo vero nome, era una donna libera, ma schiacciata dalla povertà e da un passato fatto di tossicodipendenza. Aveva lasciato dietro di sé tre figli, abbandonati al vento, mentre lei sceglieva la strada, un'esistenza ai margini, con solo un orgoglio incrostato a tenerla in piedi. In quei due spicchi di città, si era ritagliata un suo spazio, alternando fugaci incontri con altri disperati e accoppiamenti rapidi in un'auto abbandonata. Chi la conosceva bene, come i frequentatori del quartiere, raccontava che ogni tanto esplodeva in urla, ma si trattava di momenti solitari ed isolati. Per il resto, Lalla sorrideva a chi le regalava una maglietta nuova e accettava con gratitudine panini e sigarette. Non dipendeva dai soldi. Se non conosceva la persona che glieli porgeva, li rifiutava. Perfino i parenti, che una volta all'anno trovavano il coraggio di cercarla, venivano accolti con freddezza e i loro doni respinti. La sua vita si era ridotta a poco più di niente, eppure sembrava le andasse bene così.

Immagine generata con AI
L’omicidio
La notte tra il 10 e l'11 marzo 1995, qualcosa cambiò per sempre. Lalla si trovava accanto al suo falò, quando un'auto le puntò i fari in faccia, una persona ne uscì con un punteruolo in mano e la colpì sette volte. Il corpo della donna fu trafitto da fendenti che non lasciavano scampo: fianchi, schiena, costole, fegato, milza e infine, l'ultimo, tra nuca e orecchio. Colpi secchi, feroci, fatti per uccidere. Ma perché? Cosa aveva fatto Lalla per meritare una fine così violenta? Forse non lo sapeva nemmeno lei mentre, ferita a morte, si trascinava per via Digione, lasciandosi dietro una scia di sangue. Riuscì ad attraversare via Washington, ma nessuno la notò fino alle 4.45 del mattino, quando Stefano, un caporeparto dell'Esselunga che aveva appena finito il turno, la vide barcollare. Non ci fece caso: era solo la barbona del quartiere, sempre lì da qualche parte. Pochi minuti dopo, Lalla crollò sotto un'edicola ancora chiusa. Fu un passante, insieme ad una guardia giurata, a trovarla e chiamare il 113. Vitalia Melis, trasportata d'urgenza all'ospedale San Paolo, morì senza poter pronunciare una sola parola.

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Le indagini
L'indagine venne subito affidata alla sezione omicidi, sotto la responsabilità del funzionario di turno, Paolo Scrofani, giovane capo della sezione narcotici, che anni dopo perse la vita in un'esplosione provocata da un uomo che aveva saturato di gas il proprio appartamento per resistere a uno sfratto esecutivo. Ma le tracce raccolte sulla scena del delitto non lasciavano molto spazio alle speranze di risoluzione. Oltre alle bottiglie di birra vuote e ai fogli di giornale che usava per alimentare il fuoco, la polizia trovò un paio di occhiali con montatura marrone e la lente destra mancante. Gli occhiali non appartenevano a Lalla, ma non furono mai rivendicati da nessuno. Non c'erano impronte utili, solo un'impronta di pneumatico sulla cenere, troppo corta per identificare il veicolo. Cosimo, il proprietario del bistrot che di tanto in tanto riforniva Lalla di birra, ricordava due persone con occhiali simili: Ivo e Piero, due innocui sessantenni. Per un giorno e mezzo si diffuse persino la voce di un "killer zoppo", un'invenzione nata da uno scherzo telefonico fatto da un diciannovenne di Pogliano Milanese, che chiamò la questura dichiarando di aver visto gli assassini a bordo di una Mercedes.

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Il quartiere si strinse intorno al ricordo di Lalla. Sulla sua panchina comparvero fiori, pacchetti di sigarette, una bottiglia di birra, perfino un biglietto lasciato dai netturbini dell'Amsa e uno firmato “i marocchini dell'Esselunga”. Eppure, nonostante l'affetto della comunità, gli inquirenti avevano ben poco su cui lavorare. Un uomo, di nome Luciano, disse di aver notato uno strano individuo il giorno prima dell'omicidio: un uomo basso, sui 30 anni, con capelli a caschetto e piedi a papera. Gualtiero, un frequentatore del bistrot, menzionò un uomo mai visto prima, di circa 45 anni, tarchiato, con occhiali e capelli brizzolati, che negli ultimi tempi sembrava particolarmente interessato ai discorsi su Lalla. Dopo quella sera, nessuno lo vide più.

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Il mistero resta senza risposte
La storia personale di Vitalia Melis si rivelò un tragico viaggio nei suoi inferi. Suo padre Flavio, venuto da Assemini per riconoscere il corpo, non riuscì a dire una parola. Magda, la figlia maggiore di Lalla, raccontò della vita difficile in affidamento, tra collegi e parenti. Salvatore, il padre di Magda, raccontò di aver tentato di far lavorare Lalla nel suo karaoke a metà degli anni Ottanta, ma senza successo. Giovanni, il padre degli altri due figli di Lalla, ricordava invece solo una spirale di dolore, follia e dipendenza.
Tutti si domandavano chi avesse ucciso Lalla. Forse un clochard respinto? Un disadattato in cerca di guai? O magari un improbabile giustiziere della notte? Diverse persone furono ascoltate, tra cui Maria, la fruttivendola che spesso le regalava una mela, e Anna Rita, che le aveva messo a disposizione una vecchia auto come rifugio. Tuttavia, nessuno di loro riuscì a fornire una risposta.
Il mistero rimase insoluto, e chissà se, in un angolo della sua mente, Lalla avrebbe mai immaginato di essere ricordata così.
Stefano Brigati

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04 novembre 2024