Con la sabbia ancora nelle scarpe, Raffaele Brattoli ripercorre l'ultramaratona Sahara no stop in notturna
C’è ancora della sabbia del Sahara nelle scarpe dell’ultramaratoneta Raffaele Brattoli. È il ricordo, vivido, dell’ultima grande avventura targata 2012, intrapresa dal nerboruto atleta di Peschiera Borromeo che per l’ennesima volta ha calcato il deserto del continente nero.
18 dicembre 2012
«Mi ritrovo in Africa per correre la 100 chilometri del Sahara non stop – ricorda lo sportivo –. Sulla pettorina, consegnatami dopo il controllo del materiale, il numero 27 spicca dal bianco della divisa, contraddistinguendomi dagli altri 132 partecipanti, indiscussi veterani di competizioni desertiche».
Superate le procedure standard, per distrarsi dalla tensione sempre più schiacciante, lo sguardo volge verso l’ambiente circostante che reperisce le uniche tracce di vissuto in Chenini, un villaggio troglodita berbero situato su un altopiano nel distretto di Tataouine nella Tunisia meridionale, in cui avevano allestito il campo di partenza.
«Per diverso tempo – continua – ho potuto assaporare la magnificenza che l’agglomerato urbano (Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco ndr), con case millenarie scavate nella roccia, trasudava». Dopodiché la realtà ha sfondato prepotentemente il sogno a occhi aperti qualche tempo prima che lo starter annunciasse il via ai giochi: mancavano infatti pochi minuti alle fatidiche ore 16.30 di venerdì 26 ottobre 2012. Zaino in spalla, scambi di “in bocca al lupo”, diversi “5 battuti” tra connazionali per disporsi moralmente al massimo per affrontare una corsa da 100 chilometri, senza sosta, in minacciosi territori sabbiosi rabbuiati dalle tenebre.
«Cominciamo arrampicandoci sulla mulattiera che conduce alla Moschea locale, luogo di culto per i pochi abitanti del villaggio, prima di scendere vertiginosamente all’imbocco di un vecchio e interminabile percorso sassoso, lungo circa 80 chilometri. Nel frattempo cala l’oscurità, sebbene la notte resti calda, con temperature oscillanti tra i 18 e 20 gradi centigradi. Il cielo è in parte coperto ma si riescono a intravedere la luna e le stelle che mi trasmettono emozioni dal carattere leggendario: l'Africa e il suo deserto regalano sempre percezioni magiche – descrive Raffaele Brattoli –. Il tragitto è un saliscendi continuo, facile da percorrere, ma insidioso per le rocce che in più occasioni provocano cadute, per la maggior parte dei casi senza gravi conseguenze. Così, ci si ironizza un po’ su».
Le ore in gara si avvicendano con lentezza, la fatica permea la saldezza dei principi e la mente comincia a fare strani scherzi a causa dell’uso prolungato della luce frontale, che comprime ininterrottamente la visuale generando un effetto ipnotico. L’ultramaratoneta peschierese non è tipo da forfait e va avanti, come da programma fino all’80esimo chilometro. «All’altezza del check point tento di ingerire qualcosa di energetico, ma una forte nausea me lo impedisce. Il medico dell'organizzazione mi fornisce quindi una compressa per ovviare il fastidio e suggerisce di stendermi per rilassarmi, assicurandomi di chiamarmi dopo una decina di minuti». In verità passa un’ora piena. Sono le urla di un concorrente che lo destano dall'assopimento e in men che non si dica riprende il passo, rabbioso per la perdita di posizioni in classifica, solcando impegnative dune sabbiose. L’alba ormai prossima e i primi tiepidi raggi di sole rischiarano i partecipanti. «La luce mi fa salire l'adrenalina, aumento il ritmo, scortato da una forte tempesta di sabbia fino al traguardo, presso l'oasi di Ksar Ghilan, ove ad accoglierci c'è il grande Adriano Zito, mitico organizzatore di gare nel deserto». Benché rammaricato per aver “bucato” la testa della classifica, a seguito dell’ora perduta, il nostro si rasserena non appena il collo accoglie la medaglia di fine gara, che – siamo sicuri – si appesantirà ancor di più, con altri successi, nel 2013.
Superate le procedure standard, per distrarsi dalla tensione sempre più schiacciante, lo sguardo volge verso l’ambiente circostante che reperisce le uniche tracce di vissuto in Chenini, un villaggio troglodita berbero situato su un altopiano nel distretto di Tataouine nella Tunisia meridionale, in cui avevano allestito il campo di partenza.
«Per diverso tempo – continua – ho potuto assaporare la magnificenza che l’agglomerato urbano (Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco ndr), con case millenarie scavate nella roccia, trasudava». Dopodiché la realtà ha sfondato prepotentemente il sogno a occhi aperti qualche tempo prima che lo starter annunciasse il via ai giochi: mancavano infatti pochi minuti alle fatidiche ore 16.30 di venerdì 26 ottobre 2012. Zaino in spalla, scambi di “in bocca al lupo”, diversi “5 battuti” tra connazionali per disporsi moralmente al massimo per affrontare una corsa da 100 chilometri, senza sosta, in minacciosi territori sabbiosi rabbuiati dalle tenebre.
«Cominciamo arrampicandoci sulla mulattiera che conduce alla Moschea locale, luogo di culto per i pochi abitanti del villaggio, prima di scendere vertiginosamente all’imbocco di un vecchio e interminabile percorso sassoso, lungo circa 80 chilometri. Nel frattempo cala l’oscurità, sebbene la notte resti calda, con temperature oscillanti tra i 18 e 20 gradi centigradi. Il cielo è in parte coperto ma si riescono a intravedere la luna e le stelle che mi trasmettono emozioni dal carattere leggendario: l'Africa e il suo deserto regalano sempre percezioni magiche – descrive Raffaele Brattoli –. Il tragitto è un saliscendi continuo, facile da percorrere, ma insidioso per le rocce che in più occasioni provocano cadute, per la maggior parte dei casi senza gravi conseguenze. Così, ci si ironizza un po’ su».
Le ore in gara si avvicendano con lentezza, la fatica permea la saldezza dei principi e la mente comincia a fare strani scherzi a causa dell’uso prolungato della luce frontale, che comprime ininterrottamente la visuale generando un effetto ipnotico. L’ultramaratoneta peschierese non è tipo da forfait e va avanti, come da programma fino all’80esimo chilometro. «All’altezza del check point tento di ingerire qualcosa di energetico, ma una forte nausea me lo impedisce. Il medico dell'organizzazione mi fornisce quindi una compressa per ovviare il fastidio e suggerisce di stendermi per rilassarmi, assicurandomi di chiamarmi dopo una decina di minuti». In verità passa un’ora piena. Sono le urla di un concorrente che lo destano dall'assopimento e in men che non si dica riprende il passo, rabbioso per la perdita di posizioni in classifica, solcando impegnative dune sabbiose. L’alba ormai prossima e i primi tiepidi raggi di sole rischiarano i partecipanti. «La luce mi fa salire l'adrenalina, aumento il ritmo, scortato da una forte tempesta di sabbia fino al traguardo, presso l'oasi di Ksar Ghilan, ove ad accoglierci c'è il grande Adriano Zito, mitico organizzatore di gare nel deserto». Benché rammaricato per aver “bucato” la testa della classifica, a seguito dell’ora perduta, il nostro si rasserena non appena il collo accoglie la medaglia di fine gara, che – siamo sicuri – si appesantirà ancor di più, con altri successi, nel 2013.
Maurizio Zanoni
{AG}gallerie/Raffaele Brattoli{/AG}
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18 dicembre 2012