Art Déco, il trionfo della modernità: l'epoca d'oro che infranse le regole e lanciò il "Made in Italy", in mostra a Milano nelle sale di Palazzo Reale.

L'esposizione che omaggia uno degli stili più iconici del Novecento, con un affresco complesso e affascinante degli "Anni Ruggenti", capaci di unire lusso sfrenato, progresso tecnologico e un'inquietante fragilità.

Il punto di partenza è un centenario eccellente: i cento anni dall'Esposizione internazionale delle arti decorative e industriali moderne di Parigi del 1925. Fu lì che venne ufficialmente codificato quello che allora era chiamato lo "Stile 1925" e che, diffusosi a macchia d'olio in Europa nel primo dopoguerra, sarebbe passato alla storia come Art Déco. Ma l'evento parigino ebbe un significato cruciale, quasi uno spartiacque: decretò a livello universale il successo delle arti decorative italiane. In quella nuova dimensione raffinata ed elegante – sintesi tra l'alto artigianato e la produzione industriale – si gettarono le basi per un connubio di qualità dei materiali, straordinaria competenza tecnica e creatività unica, riconosciuto in tutto il mondo come "Made in Italy".

Un'epoca di contrasti: lusso, energia e riscatto

La mostra ci trasporta in un decennio, quello degli anni Venti, descritto come un "limbo effimero", una "parentesi di gioia travolgente" che si estese fino ai primi anni Trenta. Le avanguardie artistiche danzavano con il glamour crescente. Città come Parigi, Londra, Milano diventarono il "palcoscenico di un'eleganza cinica e scintillante", dove il desiderio di rinnovamento si scontrava con il pesante fardello dei ricordi bellici. L'alta società, spinta a dimenticare gli orrori, inseguiva un sogno fatto di "charme, opulenza, mondanità e spettacolarità". Le case borghesi si riempirono di oggetti raffinati, simbolo di un lusso impareggiabile, e il gusto Déco non si fermò al privato, ma invase gli spazi collettivi: stazioni ferroviarie, teatri, cinema, palazzi pubblici si vestirono di questa nuova estetica.
Fu un'epoca di "energia pura", un "brivido di progresso" che si materializzò nelle prime autostrade italiane, nei treni veloci, nei grattacieli imponenti, nelle architetture futuristiche. La radio, i transatlantici, i dirigibili, gli aerei avvicinarono il mondo. Nacque Hollywood, plasmando un nuovo immaginario collettivo. La tecnologia trasformò la società: la pubblicità con colori vivaci e slogan dinamici, i grandi magazzini come "La Rinascente" diventarono templi urbani, l'elettrificazione rivoluzionò la vita quotidiana.

Tuttavia, questa esuberanza fu pervasa da tante "fragilità e contraddizioni". Le città prosperavano, ma le aree rurali restavano indietro. Il consumismo nascondeva tensioni economiche e sociali. L'Art Déco emerse in un periodo difficile come "espressione di una ricerca universale di armonia e raffinatezza", capace di oltrepassare i confini. Ma la mostra invita a riflettere su come questa "corsa verso il futuro" ignorasse le inquietudini politiche e sociali che, di lì a poco, sarebbero esplose. La mostra mira proprio a far rivivere questa dualità: la "straordinaria bellezza" di un'epoca unita alla sua "inquietante incertezza".

Un Viaggio Attraverso 250 Capolavori

Il percorso espositivo a Palazzo Reale, ricco e articolato in quattordici sezioni, esplora la genesi, lo sviluppo e la "rapida fine" dell'Art Déco in Europa (anche se il suo riverbero si prolungherà nel mondo per tutti gli anni Trenta, lasciando un segno indelebile negli Stati Uniti con architetture come il Chrysler Building e l'Empire State Building).

250 opere, con cui la mostra mette in scena la multiforme e raffinata anima dello stile Déco.



La mostra si articola in tre grandi nuclei tematici che raccontano l’universo sfaccettato dell’Art Déco:
  • L'eccellenza della manifattura italiana: un focus particolare è dedicato alle "preziose manifatture" italiane, che definirono la cifra stilistica del decennio. Protagonista indiscusso è Gio Ponti, la cui figura è centrale poiché seppe integrare naturalmente i motivi Déco nel suo lavoro, dalla ripresa del neoclassico al richiamo manierista e rococò, fino al folklore. Si possono ammirare opere chiave da lui disegnate per la Richard-Ginori, di cui fu direttore artistico per dieci anni: il monumentale Centrotavola per le Ambasciate d'Italia (progettato con Tomaso Buzzi per il Ministero degli Esteri, composto da oltre 50 elementi!) e il vaso "La casa degli efebi operosi e neghittosi", esposto a Parigi nel 1925. Accanto a Ponti, sono presenti opere di altri maestri italiani come Paolo Venini e Vittorio Zecchin (vetri raffinati), Galileo Chini (ceramiche), Adolfo Wildt (sculture), Renato Brozzi (argenti) ed Ettore Zaccari (ebanista). Molti di loro furono insigniti del Grand Prix all'Esposizione di Parigi del '25, sancendo la nascita del design italiano.

  • Oggetti di desiderio e quotidiano trasformato: dalle porcellane alle maioliche, dai vetri ai centro tavola, la mostra presenta dipinti, sculture, oggetti d'arredo che testimoniano come l'Art Déco permeasse ogni aspetto della vita. Spazio anche alla moda, con abiti haute couture e accessori provenienti dalle collezioni di Palazzo Morando di Milano, che raccontano la "metamorfosi costante e vistosa" della donna degli anni Venti, liberata dai corsetti, più dinamica e attenta all’attività fisica.
  • Architettura e ambienti di lusso: vetrate e mosaici esposti rimandano agli ambienti sontuosi che lo stile Déco contribuiva a creare, dagli interni degli hotel di lusso alle stazioni ferroviarie, dai teatri ai mezzi di trasporto d'élite come aerei e transatlantici.

Fonti d'ispirazione e temi narrativi

La mostra esplora le diverse "anime" del Déco e le sue molteplici fonti d'ispirazione. Se da un lato guardava al futuro e al progresso, dall'altro attingeva abbondantemente dall'antichità: l'arte egizia dei faraoni, i motivi geometrici degli artefatti aztechi e africani, le decorazioni dei vasi greci, le ziqqurat mesopotamiche. Accanto a ciò, si mescolavano gli influssi delle avanguardie del primo Novecento (Cubismo, Futurismo, Fauvismo, Espressionismo), le forme severe delle architetture neoclassiche, la natura stilizzata (animali, foliage tropicale, forme cristalline) e la fascinazione per la tecnologia e il ritmo del jazz.

Le sezioni tematiche mettono in luce questi spunti: il gusto per la natura e gli animali (con opere di Sirio Tofanari, Alfredo Biagini, René Lalique), l'esotismo (quello dannunziano, la visione colonialista con disegni di Paul Colin e Louis Bouquet, il fascino per l'Oriente di Francesco Nonni, la cultura slava evocata dai Ballets Russes), l'amore per l'antico e la mitologia (legato anche alla scoperta della tomba di Tutankhamon nel 1922, e presente nelle serie di Gio Ponti come la Venatoria o le Ciste).

L'allestimento, descritto come una "wunderkammer Art Déco", guida il visitatore attraverso un turbinio di forme, colori e materiali preziosi, culminando con il Centrotavola per le Ambasciate, prima di segnare una "brusca cesura" nell'ultima sala, dove le opere dei primi anni Trenta mostrano un passaggio dal decorativismo minuto a un "monumentalismo plastico" con ceramiche rivestite in smalto rosso, simbolo dell'incipiente cambio di gusto verso lo "stile Novecento".

Il ruolo cruciale dell'Italia e il legame con Milano

La mostra ambisce a essere un "capitolo definitivo sul ruolo dell'Italia nella formazione di questo stile" e, in particolare, del ruolo di Milano. Nonostante Parigi 1925 sia stato il momento di massima consacrazione, la mostra sottolinea come il fermento fosse già presente in Italia nei primi anni '10, con un interesse per una "nuova bidimensionalità più geometrica e antinaturalistica". Figura chiave in questo è Guido Marangoni, definito un "vettore visionario", pioniere del Design Italiano, che già nel 1919 organizzò l'Esposizione Regionale Lombarda di Arte Decorativa e ideò le Biennali Internazionali di Arti Decorative nella Villa Reale di Monza (1923-1927), antesignane della Triennale di Milano. La Biennale di Monza del '23, in particolare, è descritta come potenzialmente "più centrata e incontaminata" rispetto a Parigi, focalizzata sull'artigianato artistico e sulla "indissolubile concertazione tra arte, artigianato e produzione industriale".

Una mostra “diffusa”

Questo ambizioso progetto espositivo è reso possibile grazie a una vasta rete di collaborazioni e prestiti fondamentali da numerose realtà museali italiane ed estere. Accanto a istituzioni nazionali come il MIC di Faenza, la Wolfsoniana di Genova e la Fondazione Vittoriale degli Italiani, spicca il contributo dei musei milanesi: i Musei del Castello Sforzesco (con prestiti eccezionali come le Ciste di Gio Ponti), il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia, il Museo Poldi Pezzoli, Palazzo Morando e la Villa Necchi Campiglio del FAI. Anche il Musée des Années Trente di Parigi ha fornito prestiti importanti.

Il legame tra l'Art Déco e il territorio milanese viene ulteriormente valorizzato con tour guidati in città, a piedi e in bicicletta, organizzati da 24 ORE Cultura, Fondazione FS e Palazzo Reale, per scoprire l'Art Déco diffusa negli edifici milanesi. Inoltre, il Museo delle Arti Decorative del Castello Sforzesco ospiterà per tutta la durata della mostra una selezione di porcellane di Gio Ponti dal Museo Ginori, rendendo accessibili collezioni temporaneamente non visitabili nella loro sede.

Un'eredità che resiste

"Art Déco. Il trionfo della modernità" racconta, in definitiva, la storia di un linguaggio estetico potente e seducente. Un linguaggio nato dal desiderio di bellezza e rinnovamento dopo la tempesta, capace di fondere epoche e stili, materiali preziosi e tecnologie d'avanguardia. Un trionfo visivo che, pur breve ed effimero nella sua fase più pura, ha lasciato un segno indelebile. La mostra ci invita a guardare oltre lo sfarzo, a cogliere le contraddizioni di un'epoca che, in cerca di armonia e progresso, danzava sull'orlo del baratro. Una celebrazione non solo di uno stile, ma di un'intera epoca che, con le sue luci abbaglianti e le sue ombre latenti, continua ad interrogarci.

Un appuntamento imperdibile a Palazzo Reale per riscoprire il fascino senza tempo dell'Art Déco e il suo ruolo cruciale nella definizione della modernità italiana.
Stefano Brigati