La Bestia di Cusago: il mostro che terrorizzò Milano
Estate 1792: per tre mesi, una creatura sconosciuta seminò il terrore nelle campagne milanesi, divorando bambini e sfuggendo ad ogni tentativo di cattura. Una storia di sangue che, ancora oggi, sfida ogni spiegazione.

11 giugno 2025
A cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, le tranquille campagne attorno a Milano furono improvvisamente sconvolte da una serie di violenti episodi attribuiti ad una misteriosa belva antropofaga. Tra luglio e settembre del 1792, una bestia feroce tenne in scacco la popolazione rurale della zona, attaccando e divorando soprattutto bambini e adolescenti.
Questa agghiacciante vicenda è giunta fino a noi grazie ad alcuni documenti dell’epoca: un rapporto scritto da un cronista anonimo, intitolato "Diario dettagliato di ciò che la bestia feroce fece nell'Alto Milanese nel 1792", e una cronaca più estesa pubblicata con il titolo "Giornale circostanziato di quanto ha fatto la bestia feroce nell'Alto Milanese dai primi di luglio dell'anno 1792 sino al giorno 18 settembre", oggi conservata presso la Biblioteca Nazionale Braidense di Milano.
Questa agghiacciante vicenda è giunta fino a noi grazie ad alcuni documenti dell’epoca: un rapporto scritto da un cronista anonimo, intitolato "Diario dettagliato di ciò che la bestia feroce fece nell'Alto Milanese nel 1792", e una cronaca più estesa pubblicata con il titolo "Giornale circostanziato di quanto ha fatto la bestia feroce nell'Alto Milanese dai primi di luglio dell'anno 1792 sino al giorno 18 settembre", oggi conservata presso la Biblioteca Nazionale Braidense di Milano.
Le prime tragiche apparizioni
L'incubo ebbe inizio il 4 luglio 1792, nella campagna milanese, allora parzialmente incolta e boscosa. La prima vittima conosciuta fu Giuseppe Antonio Gaudenzio, un bambino di Cusago, un paese situato a circa 10 chilometri da Milano. Come d'abitudine, Giuseppe portò al pascolo l’unica mucca della famiglia. Quando la perse di vista e non riuscì a ritrovarla al calar del sole, tornò a casa a mani vuote. Il padre, descritto come un uomo eccessivamente severo, lo rimproverò duramente e lo rispedì nel bosco con l’ordine perentorio di non tornare senza l’animale. Giuseppe uscì di casa in lacrime, disperato. Non fece mai più ritorno. La mattina seguente, preoccupato e tormentato dal rimorso, il padre si recò nel bosco per cercare il figlio. Ritrovò la mucca, ma di lui nessuna traccia. Solo alcuni giorni dopo venne a sapere che alcuni abitanti del villaggio avevano rinvenuto una giacchetta, un paio di calzoncini intrisi di sangue, un cappello e alcuni resti del corpo del bambino, ormai in parte divorato. In un primo momento si pensò all’attacco di un lupo. Ma gli eventi successivi avrebbero fatto ricadere i sospetti su qualcosa di molto più inquietante: la bestia feroce.
Pochi giorni dopo, l’8 luglio, da Limbiate — un paese situato a circa 13 chilometri a nord di Milano e a pari distanza da Cusago — giunse notizia di un nuovo fatto di sangue. Qui, un gruppo di giovani pastori che accudivano il bestiame vide comparire, al calar del sole, una «brutta bestia, simile a un grosso cane, ma con un muso orribile e una forma strana». Terrorizzati, i ragazzi si arrampicarono sugli alberi vicini, gridando aiuto, ma i contadini erano lontani, dispersi nei campi. La creatura, dopo essersi acquattata tra i cespugli, emerse e attaccò il più lento del gruppo, Carlo Oca, di otto anni: lo afferrò per il collo e lo trascinò nel bosco. Tutti i testimoni fornirono una descrizione simile: testa molto grande, muso affilato, denti sporgenti, pelliccia scura e maculata sul dorso, più chiara sul ventre, coda folta e arricciata, orecchie alte ed erette. Sebbene all’epoca parte di quei dettagli fosse attribuita alla fantasia infantile, molti notarono fin da subito le evidenti differenze rispetto a un lupo comune.

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L'isteria collettiva e le prime misure governative
Con l’aumentare delle vittime, la popolazione fu presa da un’isteria collettiva. Cominciò a circolare l’ipotesi che la bestia fosse una iena fuggita da un circo. Questa teoria si fondava sul fatto che, alcuni mesi prima, un certo Bartolomeo Cappellini aveva esposto a Milano due iene in gabbia. Molti ricordavano che la più grande — e apparentemente più feroce — non fosse stata ben assicurata. I sospetti si fecero ancora più forti quando si venne a sapere che, trasferitosi a Cremona, Cappellini era arrivato in città con una sola iena. Nonostante le sue giustificazioni — prima sostenne che l’animale fosse morto, poi affermò di averlo venduto a un socio — l’uomo, nel timore di non essere creduto, fuggì da Cremona, e di lui non si seppe più nulla. L’immagine della iena divenne presto l’iconografia principale della bestia: veniva frequentemente raffigurata su fogli volanti e opuscoli che circolavano per tutto il Milanese. Questi ritratti la rappresentavano come una creatura gigantesca e feroce, capace di divorare metà del corpo di un bambino con un solo morso.
Le descrizioni della bestia variavano enormemente: c’era chi la vedeva grigia, chi rossiccia, altri la descrivevano come marrone. Alcuni cacciatori volontari organizzarono una serie di battute di caccia, ma l’incapacità di catturarla o ucciderla, unita alle testimonianze contraddittorie, alimentò persino la convinzione che non si trattasse di un animale naturale, bensì di uno "spirito infernale" o qualcosa di simile. C’era persino chi raccontava di averla incontrata di notte nel bosco, “travestita da una dolce damigella”, richiamando alla mente le antiche leggende sui lupi mannari.
Tuttavia, le prime spedizioni si rivelarono un fallimento. La bestia, forse spaventata dal frastuono, si dileguò, mentre l’afflusso disordinato di uomini armati causò solo danni ai raccolti.
Nel caos, non mancarono i burloni: taluni annunciavano a gran voce nelle osterie che la bestia era stata catturata, e mentre tutti accorrevano all’esterno per assistere all’evento, ne approfittavano per svignarsela senza pagare il conto.

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Una nuova ondata di orrore ad agosto
All'inizio di agosto, la bestia tornò a mietere vittime. Il 2 agosto, al tramonto, a Senago, 16 km a nord-est di Milano, una ventina di ragazzi stavano accudendo i loro animali, quando la creatura emerse dal bosco e li attaccò, costringendoli alla fuga tra urla di terrore. Antonio Nobili, un contadino che stava tagliando erica con la falce, accorse verso le grida. Si trovò faccia a faccia con la bestia che, ritta sulle zampe posteriori, lo affrontò. Ne seguì una breve lotta, durante la quale Nobili riuscì a tenerla a bada, fendendo l’aria con la falce e tenendone lontani occhi e denti. La creatura, infine, lo lasciò e si lanciò all’inseguimento dei giovani. L’ultima del gruppo, Maria Antonia Beretta, di otto anni, figlia di un falegname, fu afferrata con un morso al collo e trascinata nel bosco. I compagni, insieme ad alcuni contadini, accorsero in massa; il frastuono disturbò la bestia, che abbandonò la bambina, lasciandola moribonda, con profonde ferite al collo e numerose lacerazioni sul corpo. Nobili, che l’aveva vista da vicino, ne fornì una descrizione dettagliata: "Due braccia di lungo, uno e mezzo d'altezza, con testa di porco, orecchie di cavallo, pelo lungo e spesso come di capra, e pelle biancastra sotto il ventre, ancor più chiara sotto il mento e fino alla coda, che era lunga ed estesa. Sul dorso aveva pelo rossiccio e corto. Le zampe erano lunghe e grosse, il petto ampio e i fianchi stretti." Questa descrizione, coerente con altre testimonianze, divenne la più diffusa.
Il 3 agosto, nel pomeriggio, la bestia riapparve nei pressi di Asiano (oggi Assiano), vicino a Cesano Boscone. Si avvicinò con fare mansueto a tre giovani che stavano accudendo le mucche, tanto che uno di loro, Domenico Cattaneo, di tredici anni, si fece coraggio e le si accostò. Improvvisamente, la creatura lo azzannò al collo e lo trascinò nel bosco. I contadini accorsero e tentarono invano di inseguire il predatore e ritrovare il ragazzo. Solo due giorni dopo, il corpo di Domenico fu rinvenuto nei boschi limitrofi: era nudo, già in stato di decomposizione. Il volto risultava estremamente gonfio, il naso era stato strappato, il petto divorato; gli arti e gli intestini giacevano separati dal tronco.
Il 4 agosto, ad Arluno, due sorelle — Giovanna Sada, di dieci anni, e la sorella undicenne — erano sulla strada pubblica che costeggia un bosco, dalle parti di Arluno, insieme a un bambino di tre anni di nome Stefano Losa. All’improvviso, la bestia uscì dal bosco, afferrò Giovanna per il busto e la trascinò via. La bambina si difese gridando, ma la creatura la strinse al collo e le squarciò la gola. Quando la sorella corse ad allertare gli altri, la bestia aveva già divorato gran parte della pelle intorno al collo, arrivando fino alle vertebre.
Di fronte a questa nuova ondata di orrori, le autorità di Milano
incrementarono la taglia di ulteriori cinquanta zecchini e cominciarono a
distribuire fucili e baionette a chiunque volesse prenderli in
prestito.

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Il 5 agosto iniziò a circolare la voce che non ci fosse
una, ma due bestie. Questo sospetto era già emerso a causa delle stragi
avvenute in luoghi così distanti tra loro e in tempi così ravvicinati.
Quel giorno, qualcuno affermò di averle viste insieme, avanzare
lentamente nel bosco, descrivendole come un maschio più agile e snello e
una femmina con mammelle pendenti. L’ipotesi fu ulteriormente
confermata dalla testimonianza del Marchese Stampa di Soncino, che
raccontò di averle viste in un campo di mais a Cascina Biscona, dove
avevano ucciso del pollame. Il Marchese fornì anche una descrizione
molto dettagliata: la bestia più grande era «completamente rossiccia,
con una striscia bianca sotto il ventre, la testa simile a quella di un
vitello, occhi enormi, coda sottile e riccia con un ciuffo di pelo
bianco in cima e abbastanza lunga; quando scappa, fa salti come un
capriolo». L’altra, più piccola, era «uguale a un grosso cane color
cenere, con strisce ondulate come un serpente, coda corta, testa grande,
muso simile a quello di un maiale e vita sottile». «Questa è una bestia
molto brutta a vedersi — aggiunse — mentre la più grande è molto bella e
ben fatta».
La mattina del 11 agosto, verso le otto, alla Cassina di
San Siro, in corrispondenza dell’attuale piazza Wagner a Milano, un
gruppo di ragazzi e ragazze stava raccogliendo l’erba. Tra loro c’era
Regina Mosca, di appena dodici anni. Improvvisamente, la bestia si
avventò su di lei con ferocia: afferrò il collo con i denti e le
squarciò il petto con gli artigli. Alle grida strazianti della bambina e
dei compagni, molti contadini accorsero in suo aiuto. La creatura
abbandonò la preda, ma per Regina era ormai troppo tardi. Giaceva
morta, con orrende ferite: una parte del collo mancava, quasi come se le
avessero succhiato il sangue dalla vena giugulare.

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Di fronte all’impotenza degli uomini, la Congregazione Municipale di Milano, a metà agosto, convocò un “devoto triduo” — tre giorni di preghiere continue e intense — nella chiesa di Santa Maria delle Grazie a Porta Vercellina, implorando l’aiuto divino.
Il 16 agosto, a Barlassina, due sorelle, Angiola e Caterina Zerbi, insieme ad Anna Maria Borghi, di 13 anni, pascolavano i loro greggi. Dal bosco emerse la bestia, che si avvicinò a loro con un atteggiamento apparentemente mansueto. Angiola le lanciò del pane, ma la creatura lo allontanò con una zampa. Mentre le ragazze si stavano alzando per andarsene, la bestia aggredì prima Caterina, poi si scagliò contro la sfortunata Anna Maria: l’afferrò per il collo, la gettò a terra e iniziò a trascinarla. Le compagne fuggirono urlando, mentre il contadino Francesco Tanzi, che si trovava poco lontano, corse in soccorso della povera ragazza. Vide la bestia sopra Anna Maria, che le stava azzannando la gola, e iniziò ad urlare brandendo la sua falce. La creatura abbandonò lentamente la preda, ma anche in questo caso fu troppo tardi.
Il 21 agosto, la quattordicenne Giuseppa Re, figlia di un sarto, fu trascinata via mentre si recava a raccogliere legna nel bosco di Chiappa Grande, nelle vicinanze di Bareggio. Il suo corpo, in gran parte dilaniato, venne ritrovato vicino a una fonte. La bambina fu trovata senza vita nei pressi di una fonte detta La Grata, con la bestia ancora intenta ad accanirsi sul suo corpo. All’arrivo della gente, l’animale si dileguò nel fitto del bosco. Un gruppo di cacciatori si appostò sul luogo dell’aggressione, sperando che la creatura tornasse al cadavere. Ma la bestia non tornò mai più.

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I tentativi di cattura e l'ultimo attacco
Furono avanzate diverse proposte per catturare la bestia, tra cui seppellire i morti appena sotto la superficie del terreno o realizzare trappole complesse. Il 24 agosto venne approvato un piano elaborato da due sacerdoti, Filippo Rapazzini e Giuseppe Comerio, che prevedeva la costruzione delle cosiddette "fosse lupaie": buche camuffate e recintate, dotate di un’unica apertura visibile, nelle quali si sarebbe posto un animale vivo come esca.

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La cattura e i dubbi
Il 18 settembre arrivò finalmente la notizia tanto attesa: la bestia era stata catturata. Un grosso lupo era caduto in una delle “fosse lupaie” ideate dai sacerdoti nei pressi di Cassina Comina, vicino Crosazza della Pobbia. Sentendolo ululare, i contadini accorsero numerosi e, dopo averlo brutalmente colpito con pietre e bastoni, gli legarono una corda al collo, strangolandolo. Nel suo stomaco furono trovate tracce di uva, resti di polli, un filo di canapa annodato, una piccola palla e numerose cicatrici sulle zampe. Il corpo dell’animale fu consegnato ai sacerdoti Comerio e Rapazzini; successivamente venne imbalsamato ed esposto al pubblico a Milano in Piazza del Duomo.
Le opinioni, però, rimasero discordi. Un’amica di Regina Mosca e un altro giovane sopravvissuto riconobbero nell’animale catturato la creatura che li aveva aggrediti, mentre Girolamo Cosona, il ragazzo di Lainate che aveva lottato corpo a corpo con la bestia, sostenne con fermezza che si trattava di un animale completamente diverso. Anche le zanne e gli artigli non corrispondevano alle ferite riscontrate sulle vittime. Il dibattito sulla vera natura della creatura si intensificò: poteva essere un ibrido, un “lupo orsino” o persino un lupo mannaro? Per molti, una belva che aveva seminato tanto terrore non poteva essere un semplice lupo comune.
Le opinioni, però, rimasero discordi. Un’amica di Regina Mosca e un altro giovane sopravvissuto riconobbero nell’animale catturato la creatura che li aveva aggrediti, mentre Girolamo Cosona, il ragazzo di Lainate che aveva lottato corpo a corpo con la bestia, sostenne con fermezza che si trattava di un animale completamente diverso. Anche le zanne e gli artigli non corrispondevano alle ferite riscontrate sulle vittime. Il dibattito sulla vera natura della creatura si intensificò: poteva essere un ibrido, un “lupo orsino” o persino un lupo mannaro? Per molti, una belva che aveva seminato tanto terrore non poteva essere un semplice lupo comune.

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Un mistero irrisolto
La storia della Bestia di Cusago si concluse ufficialmente il 18 settembre 1792, quando le aggressioni cessarono definitivamente. Nonostante la cattura sembrasse aver posto fine all’incubo, molti dubbi rimanevano sull’identità dell’animale ucciso. La popolazione locale conosceva bene i lupi, comuni nelle campagne europee dell’epoca, ma le testimonianze concordavano su un fatto: quella creatura era troppo anomala per essere considerata un semplice predatore.
Le ipotesi più o meno fantasiose
Le ipotesi sulla vera natura della bestia sono molteplici:
- Lupo comune: nonostante gli eventi avessero spinto a cercare spiegazioni straordinarie, per molti si trattava semplicemente di un lupo comune. Va però sottolineato che i lupi antropofagi, cioè quelli che si nutrono di carne umana, sono estremamente rari.
- Iena: questa rimane una delle ipotesi più plausibili. Le iene possiedono dimensioni, aspetto, forza e aggressività sufficienti per dilaniare una persona. Le specie attuali (maculata, striata, bruna) variano tra i 35 e gli 80 kg e presentano colorazioni compatibili con i resoconti dell’epoca. Non native della regione, avrebbero però potuto facilmente fuggire da qualche circo.
- Iena preistorica: un’ipotesi suggestiva, sebbene molto fantasiosa, è che si trattasse di iene delle caverne o del genere Pachycrocuta, una specie gigante che poteva raggiungere i 100 kg. Nonostante la specie sia ufficialmente estinta da migliaia di anni, si ipotizza che alcuni esemplari possano essere sopravvissuti fino a epoche più recenti.
- La Bestia del Gévaudan: la somiglianza con il caso della Bestia del Gévaudan, che in Francia tra il 1764 e il 1767 uccise decine di persone con modalità e aspetto quasi identici, ha sempre suggerito che potessero trattarsi della stessa specie. Tuttavia, l’identità di quella creatura non è mai stata chiarita con certezza.
- Il "Porco Cane" o "Perro Cerdo": nella zona di Novara, a circa 50 km da Milano, circolavano all’epoca resoconti su una creatura nota come "Porco Cane" o "Perro Cerdo". Una pubblicazione della Gazzetta di Milano del 1728 la descriveva come una bestia con testa di cinghiale e corpo allungato. Questa figura, temuta per secoli, è stata segnalata dalle Alpi al Po. Le descrizioni variano da rappresentazioni antiche con corna e squame a forme più riconoscibili, come un toro o un grande cane con testa di cinghiale. Avvistamenti del XVII secolo forniscono dettagli più specifici: un animale più grande di un vitello, molto peloso, con testa di cinghiale, zanne bianche e un verso a metà tra latrato e grugnito.
- Entelodon: un’altra possibile spiegazione (sempre molto fantasiosa) è l’Entelodon, un animale preistorico simile a un gigantesco cinghiale delle dimensioni di una mucca, dotato di massicci denti triangolari, i cui resti sono stati trovati in Europa. La descrizione del "Porco Cane" potrebbe riferirsi a questo genere di mammiferi.
- Animale addestrato o specie sconosciuta: poiché in alcune occasioni la bestia si avvicinava in modo apparentemente mansueto, si è ipotizzato che potesse essere un animale addestrato. Non si esclude nemmeno che fosse una specie conosciuta ma mai identificata a causa dell’isteria collettiva (cane, lupo, iena, felino) oppure una specie sconosciuta, magari estinta solo di recente.
Stefano Brigati

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11 giugno 2025