La necessità di riconoscere il diritto del lavoro è più attuale che mai

Quello che si è invece creato è un modello che viene visto incompleto e insoddisfacente, probabilmente da entrambe le parti: da un lato Confindustria che vorrebbe avere maggiore flessibilità e maggior gestione del tempo lavorato e dall’altro lato parte dei giovani che vedono trasferito sul loro precariato, sul loro futuro questa flessibilità. Non si vuole mettere in discussione una legittima richiesta di flessibilità da parte delle aziende; ma la flessibilità va accompagnata con forme di controllo, di gestione, di valorizzazione, di garanzia del futuro da parte delle giovani generazioni, anche a livello di contrattazione di secondo livello. È triste pensare che è stato costruito un modello che espropria il futuro alle giovani generazioni e nel contempo espelle dal mondo lavorativo i quarantenni/cinquantenni che hanno subito processi di ristrutturazione aziendale. In questo contesto non c’è possibilità di programmare, di lasciare la famiglia di origine, di pensare a comprare casa e generare figli. Molti uniscono le proprie precarietà con la speranza di arrivare a fine mese. Ma in una situazione di questo genere risulta anche difficile riuscire a creare una nuova classe dirigente, ad avere quel necessario ricambio e quella partecipazione che sono salutari per la crescita di un Paese. Oggi come non mai va riconosciuto il diritto del lavoro nelle sue varie forme, a maggior ragione quella esposta alla precarietà e alla mancanza di garanzie, e vanno proposte forme di tutela. È una questione primaria, che investe il Parlamento e il Governo; il Governo dovrebbe operare utilizzando il confronto con i Sindacati e le organizzazioni padronali di categoria, al fine di coniugare flessibilità (delle aziende) con prospettiva e garanzia (dei lavoratori).

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“Le cose peggiori sono sempre state fatte con le migliori intenzioni” – Oscar Wilde