Religione e follia

Ho ancora davanti agli occhi quelle terribili immagini di alcuni esponenti dell’Isis che picconano sculture in un museo Iracheno dell’antica Ninive, che, poi, con le ruspe, hanno raso al suolo uno dei più antichi e importanti siti archeologici del mondo, Nimrud.

Padre Giuseppe Paparone o.p., sacerdote domenicano

È chiaro che questi fanatici sono spinti dall'odio, non solo contro il cristianesimo e l’occidente, ma verso tutto quello che è diverso dalla loro visione del mondo, religiosa e culturale, contro lo stesso Islam e il loro popolo, contro tutto quello che contrasta col loro soggettivo e immaginario modo di pensare. È l'impostazione di tutti i sistemi totalitari, nei quali, come sta avvenendo oggi in altra forma, l'uomo si erge ad assoluto e si impone come criterio ultimo di organizzazione di tutta la realtà: è una malattia,  che come un cancro si impadronisce del pensiero e lo induce a identificare la Verità con la propria verità, fino alla follia. Questo fenomeno non riguarda un gruppetto di psicopatici, ma migliaia di persone, come è avvenuto per alcuni regimi: davvero, come afferma la Bibbia, il cuore dell’uomo è un abisso. Da dove originano queste ricorrenti ondate di follia? Chi fa nascere nel cuore dell’uomo la presunzione di essere depositario della verità? Di avere il diritto di imporre agli altri il proprio modo di concepire e organizzare la realtà, eliminando tutto quello che ritiene vi contrasti? Le risposte sono due: o il demonio o la superbia. I credenti e i sacerdoti propenderanno a pensare al demonio, gli atei diranno che sono gli istinti oscuri che abitano il cuore dell'uomo. Entrambi hanno parzialmente ragione perché il demonio,da solo,non può far nulla, ha bisogno di collaboratori fisici che coltivino una buona dose di superbia e, soprattutto, non credano alla sua esistenza.
Ma il punto drammatico è che la mente umana è capace di confondere la verità con il proprio pensiero: questo è il vero grande pericolo che corre l’uomo e che è all'origine di tutti i mali dell'umanità. Se siamo sinceri ammetteremo che è un' esperienza molto comune, che investe ambiti esistenziali molto più marginali: famiglia, lavoro, sport etc. Eppure il principio che sta alla base è sempre lo stesso: ciò che credo è giusto e non cambierò opinione. In questo modo, pur non arrivando a distruggere popoli e siti archeologici, si possono distruggere relazioni, amicizie e psicologicamente le persone. 
Qual è la soluzione? Per le cose del mondo, dobbiamo accettare umilmente la relatività del nostro pensiero, anche quando tutto inclina a non avere dubbi, cominciando a pensare: "a me sembra che il mio punto di vista sia giusto, tuttavia potrei sbagliarmi e l'idea di un altro potrebbe essere migliore". Per le verità assolute, quali l’esistenza di Dio, l’origine del mondo, l’esistenza dopo la morte,  andiamo ancora più cauti. Cerchiamo, con serietà, sistematicità e con grande umiltà, di trovare una risposta convincente alla possibilità concreta di trovare la verità; non la mia, parziale, ma quella che ha ordinato e presiede la realtà nella quale siamo immersi e dalla quale dipendiamo, col coraggio di procedere, a volte, nella penombra. Come sacerdote e per esperienza personale ricordo le parole del Libro della Sapienza: Chi cerca la verità non può non trovarla, perché la verità, a sua volta, va in cerca di quanti sono disposti a farsi istruire da lei. Non facciamo come Pilato che non era disposto a mettere in pratica la verità e, quindi, non ha ricevuto risposta da Gesù, la Verità che è venuta ad abitare in mezzo agli uomini per istruire quanti la cercano.

fra Giuseppe o.p.