Leoncavallo, stop alla zona franca della legalità: il ministero condannato al risarcimento, polemiche su esponenti di sinistra che hanno sempre tollerato le occupazioni

La Corte d’Appello civile, ha condannato il Viminale a un risarcimento di 3 milioni di euro nei confronti della famiglia Cabassi, proprietaria dell’immobile per non aver eseguito lo sgombero, De Corato: «Chi ha sostenuto il Leoncavallo ne risponda politicamente»

Il Leoncavallo chiude il sipario

Il Leoncavallo chiude il sipario

La recente sentenza della Corte d’Appello di Milano che condanna il Ministero dell’Interno a risarcire il proprietario dell’area di via Watteau, occupata abusivamente dal Cento Sociale Leoncavallo dal 1994, riaccende le polemiche su una vicenda emblematica dell’impunità e della tolleranza verso l’illegalità. La decisione, che comporta un risarcimento milionario, non colpisce i responsabili diretti dell’occupazione, ma lo Stato, accusato di non aver mai eseguito gli sgomberi ordinati.

Per molti, il Leoncavallo rappresenta una vera e propria "zona franca", dove le regole della legalità sono sospese. Una realtà che è stata non solo tollerata ma anche apertamente supportata da alcuni esponenti politici, in particolare della sinistra, che hanno sfruttato il luogo anche per incontri elettorali.

De Corato: «Chi ha sostenuto il leoncavallo ne risponda politicamente»

Riccardo De Corato, Deputato di Fratelli d’Italia e vice presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera, punta il dito contro le istituzioni e i politici che negli anni hanno sostenuto il centro sociale. «La sentenza è un colpo durissimo, ma giusto, per uno Stato che ha scelto di voltarsi dall’altra parte di fronte a un abuso evidente e consolidato. Ma oltre al Ministero, trovo giusto che ne rispondano anche politicamente tutti coloro che, con il loro assenso o silenzio, hanno permesso che il Leoncavallo rimanesse occupato. Mi riferisco, in particolare, agli esponenti della sinistra che, invece di condannare questa situazione, l’hanno legittimata con incontri e iniziative».

De Corato non risparmia critiche a Pierfrancesco Majorino, capogruppo del PD in Regione Lombardia: «Majorino, durante la campagna elettorale, ha organizzato apertamente incontri e aperitivi al Leoncavallo. Un gesto che non solo legittima un’occupazione abusiva, ma manda un messaggio pericoloso di tolleranza verso l’illegalità. Ricordo che quando fu occupata l’attuale sede, fu Cabassi stesso, il proprietario, a consegnare temporaneamente le chiavi, salvo poi pentirsene amaramente».

Il deputato di Fratelli d’Italia sottolinea come questa vicenda non sia isolata, ma rappresenti un modello ripetuto in altri centri sociali abusivi: «Il Leoncavallo è solo la punta dell’iceberg. Ci sono almeno dieci altri immobili occupati a Milano, tutti con lo stesso modus operandi: anarchia, abuso e impunità».

Un risarcimento che graverà sui cittadini

Il risarcimento milionario, pari a oltre un milione di euro, non sarà pagato dagli occupanti, ma dal Ministero dell’Interno, quindi dai cittadini. Una decisione che alimenta la frustrazione di chi da anni denuncia il costo sociale ed economico di queste occupazioni. Non solo il Leoncavallo non paga alcun affitto, non rispetta le normative e genera un danno economico agli esercenti regolari, ma ora il risarcimento graverà sulle tasche dei cittadini italiani, a causa dell’inerzia dello Stato.

Franco: «Un simbolo negativo di illegalità e impunità»

Anche l’assessore regionale alla Casa e Housing sociale, Paolo Franco, interviene con dure parole: «Il Leoncavallo non è un esempio di cultura, ma un simbolo di illegalità e impunità, tollerato colpevolmente dalle istituzioni. Questa sentenza è un segnale forte che dimostra come lo Stato non possa più permettersi di chiudere gli occhi. Mi auguro che diventi un precedente per avviare sgomberi rapidi e tutelare i diritti dei legittimi proprietari».

Franco ha ribadito l’importanza di punire non solo chi occupa, ma anche chi promuove e sostiene queste realtà: «Non si può più accettare che esponenti politici organizzino incontri in luoghi come il Leoncavallo, legittimando comportamenti che violano apertamente la legge. È una questione di rispetto verso i cittadini onesti e le imprese che operano nel rispetto delle regole».

L’inizio di un cambiamento che metta fine a queste “zone franche”?

Il futuro del Leoncavallo rimane incerto, ma la sentenza ha sollevato il velo su anni di tolleranza e complicità istituzionale. Il prossimo tentativo di sgombero, previsto per il 10 dicembre, sarà un banco di prova per il Viminale, chiamato a dimostrare che lo Stato è ancora in grado di ripristinare la legalità.

In molti, però, temono che le resistenze politiche e sociali possano ancora una volta impedire un intervento deciso. La mobilitazione dei centri sociali e il sostegno di alcune forze politiche rischiano di trasformare la questione in un nuovo scontro ideologico, lasciando in secondo piano il principio fondamentale del rispetto della legge.

La vicenda del Leoncavallo non riguarda solo un’occupazione abusiva, ma un sistema di tolleranza e impunità che ha radicato la cultura dell’illegalità. La condanna al Ministero dell’Interno non dovrebbe essere solo un monito, ma l’inizio di un cambiamento che metta fine a queste “zone franche” dove tutto è permesso e nulla è regolato.