Rania: vi spiego cosa sta succedendo in Egitto

 

Un’intervista alla nostra collaboratrice di origine egiziana. Tahya Misr Horra!!!

Dopo la rivolta del popolo tunisino, risoltasi con la cacciata del presidente Mohamed Ben Alì, fuggito con la famiglia, mezza tonnellata di oro e non solo, dal 25 gennaio la rivolta si è accesa in un altro Paese che si affaccia sul Mediterraneo, l’Egitto. Ne parliamo con Rania Ibrahim, collaboratrice di 7giorni, di origine egiziana.

Si può parlare di effetto domino, per la rivolta che sta interessando il popolo egiziano?
Sicuramente, i fatti avvenuti nella vicina Tunisia hanno incoraggiato e risvegliato il desiderio di libertà, che da sempre aleggia nel popolo egiziano. Un popolo che da trenta anni vive sotto la tirannia e la dittatura del presidente Hosni Mubarak. Ma non solo: nel Paese è presente una vera casta di fedelissimi, formata da membri del partito dominante in parlamento e da membri della sua famiglia, contornata da migliaia di poliziotti e agenti dei servizi segreti, temuti da sempre per i loro modi sanguinosi e non rispettosi dei diritti e della dignità umana.

Perché ciò sta avvenendo proprio in questo momento storico?
A dire il vero, già nel 2006 c’erano stati diversi episodi nei quali alcuni movimenti si erano ribellati al regime, trovandosi davanti a un solo provvedimento: repressione. Coloro che esprimevano il loro dissenso, da un giorno all’altro venivano fermati, deportati in prigioni speciali, dove la tortura sistematica è all’ordine del giorno. Molte di queste persone non sono più ritornate a casa, non si sa più niente di loro. Questo è stato Mubarak. Un Presidente che impone a tutto il suo povero popolo una legge denominata “delle emergenze”, che mette il cittadino in una condizione nella quale i suoi diritti possono cessare da un momento all’altro, qualora questo venisse fermato dalla polizia, anche per soli accertamenti. Nel corso degli anni, abbiamo sentito spesso di ragazzi, donne, anziani, fermati per strada, portati nelle caserme per “accertamenti”, e poi, come al solito, di loro non ne abbiamo saputo più nulla.

Che ruolo hanno avuto internet e i social network in questa rivoluzione?
Un ruolo fondamentale, un collante; basti pensare che il 60% della popolazione egiziana è composta da giovani al di sotto dei 30 anni, dunque le tecnologie sono per loro di facile accesso. Tanto è vero che, durante la rivolta, il regime di Mubarak ha interrotto i collegamenti dei cellulari, di internet, insomma, ha censurato tutto, o forse è meglio dire ha oscurato tutto; non voleva che l’Occidente, vedesse che cosa stava perpetrando sul suo popolo.

 
Assolutamente no, l’Egitto è un paese a maggioranza mussulmana, il 15% della popolazione è copta, ma la nostra costituzione è laica; non capisco, quindi, perché fare paragoni con l’Iran o l’Iraq. Preferirei che, se proprio dovesse vincere un partito di stampo islamico, almeno seguisse l’esempio della Turchia. Ma vi posso assicurare che gli egiziani, che nella loro storia non hanno mai potuto scegliere un proprio presidente, non sbaglieranno. Una volta che si sono tolti di mezzo un sanguinoso dittatore, figuriamoci se hanno voglia di ritrovarsi tra le braccia dei fondamentalisti e terroristi islamici… non credo proprio. Tahya Misr Horra!!! (“W l’Egitto libero”: è lo slogan della piazza Al Tahrir, appunto piazza della Liberazione).