Una storia da raccontare: Maria Grazia Cutuli

Il 19 novembre 2001 muore Maria Grazia Cutuli. Mentre percorreva la strada che da Jalalabad porta a Kabul, forse sulle tracce di chi sa quale scoop sensazionale, è incorsa in un agguato.
Ad attenderla al passo Tangi Gharu, sei uomini di Al Qaeda che, ad armi serrate, le intimarono di scendere dalla jeep e di seguirli in un posto poco distante, lasciando intendere le proprie intenzioni…

Agli autisti e agli interpreti accompagnatori fu invece imposto l’ordine di allontanarsi. Chissà quali pensieri le assillarono la mente mentre, passo dopo passo, si avvicinava la fine? Pochi istanti, qualche minuto; poco importa. Un briciolo di tempo in cui avrà rivisto passare davanti tutta la sua vita: l’infanzia, l’adolescenza, gli studi, la laurea in lettere, il suo esordio al quotidiano “La Sicilia” e all’emittente “Telecolor”, il trasferimento a Milano dove, attraverso alcune collaborazioni, diventò giornalista professionista approdando, infine, al Corriere della Sera. O forse, a trapanarle il cervello quella assidua e costante passione per il giornalismo vero, sul campo. Quella stessa passione che l’ha portata lontano da casa, in quel paese martoriato dalla guerra, che, da lì a poco, a causa dell’insipienza di una landa retriva che non conosce o, meglio, che preferisce ignorare il significato di libertà di stampa, le avrebbe estinto, indegnamente, l’ultimo alito di vita, senza nessun rispetto, senza alcuna pietà. Ancor più verosimile l’irrefutabile commiato alla famiglia. 
I suoi articoli denunciavano sofferenze e riportavano, a noi lettori, racconti di paesi lontani troppo spesso dimenticati, guerre, povertà, emigranti e traffico di bambini. Questa era Maria. Dedicava anima e corpo al suo lavoro, senza mai tirarsi indietro, portando alla luce quella drammaticità come pochi altri hanno saputo fare. Spinta da questo sentimento, ha cercato di mostrare le realtà che persone, che distano da noi solo poche migliaia di chilometri, dovessero soggiacere. Un delitto che ci ha privato di una ricchezza inestimabile. Un attentato all’intelletto. Era unica. E unici erano i suoi pezzi. 
Ma Maria Grazia Cutuli non era solo questo. Al di là dell’esperta giornalista era anche una donna, una figlia, una di noi, che è stata giustiziata perché forse aveva scavato un po’ troppo a fondo, portando alla luce tematiche e situazioni ardue, scomode da digerire, non solo dal punto di vista giornalistico ma anche da quello umano. La sua bravura è stata la sua condanna. Solo i migliori si spingono dove è arrivata lei. E purtroppo Al Qaeda lo sapeva bene.
Forse, l’articolo firmato il giorno precedente alla sua morte, inerente alla scoperta di un deposito di gas nervino nella base di Osama Bin Laden, sulle colline di Jalalabad, aveva urtato qualche autorità che, infastidita dal clamore che la notizia aveva sollevato nel mondo occidentale, aveva dato l’ordine di farla tacere, per sempre. E così è stato. Condannata a morte per coraggio. Condannata a morte per non aver voltato lo sguardo e raccontato quello che aveva visto.
All’alba del XXI secolo qualcuno soffoca ancora la voce dell’informazione per celare la propria disumanità con gesti insulsi come questo.
Sicuramente le parole della nostra giornalista avevano fatto breccia e portato scompiglio tra gli alti vertici di quella organizzazione paramilitare e terroristica chiamata Al Qaeda che, al sol udire, incute timore, ormai da oltre un decennio, in tutto il mondo “civilizzato”.
Di certo il suo intento era indiscutibilmente tutt’altro. Maria Grazia Cutuli era “devota” a una informazione reale, schietta e concreta, che si elevava dalle effimere diatribe locali per caldeggiare l’esposizione di un fatto piuttosto che un altro, con un sguardo al di sopra delle parti.
Affiora allora alla memoria l’espressione, più attuale che mai: ne ferisce più la lingua – in questo caso la penna – che la spada. Una scoperta che, nel profondo, attribuisco a Maria Grazia Cutuli, emblema del coraggio, simbolo dell’informazione, figlia di quel giornalismo dove l’inviato non si accinge solo a scrivere ma vive sulla propria pelle gli eventi. Attraverso il suo lavoro ha mostrato le dure verità di paesi dissimili dal nostro e quanto le parole di un qualsiasi scritto possano essere significative, al punto tale, da determinare le sorti di una persona, di un popolo, di un mondo.
E lei lo sapeva bene…
Maurizio Zanoni