Il “fiore all’occhiello” di Tribiano

Ad esempio, i “monumenti-simbolo” per Milano sono il Castello Sforzesco voluto da Francesco Sforza, la Scala del Piermarini, il Duomo dei suoi Arcivescovi ma anche, lodevolissima cosa, della coralità del popolo ambrosiano. Per la periferia, non è così: è difficile per non dire impossibile trovare oggi qualche monumento che di prim’acchito ci rimandi a chi ieri l’altro l’ha fatto edificare, anche perché nel corso dei secoli i proprietari sono cambiati, i primi costruttori sono quasi sempre dimenticati (l’eccezione più vistosa è rappresentata dal Castello di Peschiera Borromeo, dalle origini a ora sempre in mano alla famiglia Borromeo, e in parte da quello di Melegnano, “visconteo” perché dei Visconti, dalla prima antichità). Tutto questo rende assai arduo il lavoro di ricerca delle passate memorie locali: i grossi personaggi qui da noi ci sono stati solo di passaggio, mentre il “popolino” ahimè non faceva testo (non ha lasciato tracce scritte), per centinaia di anni è stato soltanto un oggetto passivo di storia, fatto segno ad angherie e soprusi. Non per questo il nostro territorio manca di significative testimonianze, di fabbricati che hanno alle spalle una storia plurisecolare, più o meno analizzabile, pur con qualche difficoltà: uno di questi è la Casa Politi di Tribiano, una sorta di icona per l’intero Comune.

2Questa bellissima costruzione, per la sua posizione al centro del paese, a specchio nelle acque del piccolo fiume Addetta, con veduta dal romantico ponticello; per il gradevole aspetto esterno, le calde tonalità del mattone a vista, sposate al giallo ocra del rivestimento e al bianco dell’intonaco d’intorno; per le finestre ogivali, per quel comignolo strano sul tetto, svettante in cielo, che richiama alla mente quelli simili della Certosa di Pavia: per tutti questi motivi, e per qualcun altro ancora, Casa Politi attrae subito l’attenzione e lo sguardo dei visitatori che a Tribiano giungono da fuori per la prima volta. Alcuni di loro poi ci ritornano, armati di macchina fotografica, matita o pennello, per immortalare questo pittoresco scampolo di paradiso, di mondo d’altri tempi, ricco di fascino e suggestione: semplicemente bello, giunto fino a noi dal profondo dei secoli passati.

Cos’era in origine? Castello o monastero? Personalmente ritengo che ai primordi la costruzione nel suo insieme assolvesse a funzioni militari: di controllo della strada romana Milano-Cremona, la stessa che passava dinnanzi alla cascina Molino d’Arese, dove pochi anni fa sono stati scoperti i resti di una villa d’epoca romana (adesso purtroppo occultati alla vista, cioè sepolti sotto il verde del vicino giardino condominiale; quantomeno ci vorrebbe una targa, che testimoniasse cosa c’era e resta lì sotto). La medesima arteria poco più avanti guadava l’Addetta, o la sorpassava con un ponte. Posizione strategica quindi, a mio avviso sorvegliata da soldati, presidiata prima da un accampamento mobile, stabilizzato in seguito con fabbricati in legno e muratura, di lì a poco fortificato, diventato castello in epoca altomedioevale. Come tale ebbe vita lunga. Ciò non toglie però che a un certo punto possa aver mutato funzione, passando da quella militare - residenziale a quella religiosa. Il cambio di destinazione d’uso sarebbe provato in particolare dall’abbondanza di immagini sacre visibili all’interno.

L’edificio conserva preziosi ricordi dei tempi trascorsi, di chi lo abitò e amò. Tra questi, i Conti Melzi e Alari, feudatari di Tribiano e dintorni. Lo stemma nobiliare dei primi campeggia dipinto sul frontale di un gigantesco camino in pietra. Nella sala dove si ammira questo focolare, appena sotto il soffitto, corre una fascia alta una cinquantina di centimetri, con arabeschi e fiori dipinti. 

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Essa prosegue in un locale attiguo, evidenziando pitture a soggetto religioso. Nella stanza successiva, in alto sulla parete, risplende un nitido affresco della Madonna con il Bambin Gesù e San Giovanni infante, capolavoro databile presumibilmente ai secoli XIV e XV. Altro ritratto della Vergine, forse ancora più antico, è stato scoperto sotto gli intonaci in un ambiente a pianterreno, nella sezione settentrionale dell’edificio. In soffitta, tracce di decorazioni sui muri, di esecuzione più tardiva.

Dopo aver vissuto alterne vicende, militari religiose e civili, la proprietà dello storico immobile pervenne forse ai primi del Settecento ai Conti Alari, dal 1732 feudatari di Tribiano. Ormai esso era inserito in un contesto diverso da quello iniziale: fulcro di una grande azienda agricola, con terreni distribuiti nei dintorni. Gli Alari adattarono i migliori locali a propria lussuosa residenza di campagna, lasciando il resto al fittabile e ai contadini, alle attività funzionali all’agricoltura. Il feudo di Tribiano rimase agli Alari fino all’estinzione dei feudi, nel 1786. Successivamente il podere finì in mani borghesi. Nei primi decenni del Novecento Angelo Sesone (padre dell’Avvocato Antonio, sindaco del Comune dal 1956 al 1975) lo acquistò da Teresa Buttafava Delmati; verso gli anni Settanta-Ottanta passò ai fratelli Antonio e Bassano Politi, la cui famiglia conduceva il medesimo fondo agricolo già nella seconda metà del secolo XIX (anche i Politi diedero stimati Sindaci e Amministratori al Comune, per la precisione quattro, in complesso per più di un ventennio). Oggigiorno il complesso immobiliare ha perso i caseggiati rurali, sostituiti da moderne residenze: in riva all’Addetta rimane l’ala più antica e poetica, il miglior “fiore all’occhiello” del paese, conservato con cura e amore dagli stessi Signori Politi.

Prof. Sergio Leondi