Giancarlo Barbarisi spiega la “Beffa” di Arcuri alle aziende italiane: promessi fondi per la produzione per le mascherine invece … meglio quelle cinesi

La Helpcodelife di Pieve Emanuele a maggio del 2020, in piena emergenza, ha investito 550mila euro per la riconversione della produzione delle mascherine, ma Invitalia le ha negato "ingiustamente” i fondi del “CuraItalia Incentivi”. La vicenda finisce davanti al TAR.

A sinistra l'imprenditore Ivano Labruna che mostra le prime mascherine prodotte in Italia, a destra Giancarlo Barbarisi Consulente specializzato in finanza d’impresa e finanziamenti pubblici

Intervista a Giancarlo Barbarisi, consulente specializzato in finanziamenti pubblici

Davide contro Golia. Potremmo riassumerla così la battaglia legale fra Giancarlo Barbarisi, CEO di ISM (Impresa Sviluppo & Management) e Invitalia, l’azienda pubblica che gestisce i fondi per le imprese per conto del Ministero per lo sviluppo economico. Oggetto della contesa è un finanziamento negato a Helpcodelife, start-up innovativa lombarda che opera da tempo nella filiera dei dispositivi medici e della salute, per la produzione di mascherine. Oggi, il caso del “NO” ingiustificato di Invitalia è nelle mani del Tar del Lazio.

 Come è giunto ad aprire un fronte legale con Invitalia?
«Nel maggio 2020, in piena emergenza pandemica, mi ha telefonato Ivano Labruna, CEO di Helpcode Life, una start up innovativa, leader nazionale nella produzione di dispositivi medici. Era appena stato varato il decreto CuraItalia col quale Conte prometteva finanziamenti a fondo perduto alle aziende italiane che avessero riconvertito e/o ampliato le loro attività per produrre mascherine perché, in quel momento, il Paese ne era sprovvisto».
E quindi?
«Quindi Labruna, da imprenditore serio qual è, ha subito investito, senza attendere i soldi pubblici, - 550 mila euro per l’esattezza - e abbiamo messo a punto un piano di fattibilità per la produzione di mascherine. Da Invitalia, visto il know how dell’azienda, hanno contattato l’imprenditore chiedendo di perfezionare alcuni aspetti amministrativi poiché, da lì a breve, avrebbero deliberato il finanziamento».
 E invece che cosa è successo?
«Invece hanno favorito altri soggetti, aziende che non erano nemmeno della filiera e che, su indicazione della stessa Invitalia, sono state invitate ad apportare alcune modifiche giuridiche che permettessero l’ammissibilità del finanziamento. Invitalia ha tenuto un comportamento del tutto illogico, soprattutto se andiamo ad analizzare il background di molte altre aziende che, al contrario di Helpcodelife, hanno ottenuto un parere positivo e i finanziamenti. Parliamo di aziende che, fino a un attimo prima, producevano tutt’altro!»
 Come è venuta la decisione di rivolgersi al Tar?
«Sono estremamente sicuro del fatto mio. Se è vero che l’esercizio dell’attività di Invitalia si declina nelle forme della discrezionalità tecnica, quest’ultima si trasforma in un arbitrio ultra vires, e si sostanzia in valutazioni manifestamente illogiche, irrazionali, irragionevoli, arbitrarie, fondate su un travisamento dei fatti, che in una situazione come quella della primavera scorsa non è ammissibile (ma, di fatto, non lo sarebbe mai). HelpcodeLife aveva e ha tutte le caratteristiche per ottenere il finanziamento. Mi sembra il classico scandalo all’italiana. Non mi sarei messo in guerra con Invitalia se non fosse così. Ma sono un combattente e devo difendere gli imprenditori che rappresento e che devono avere rispetto».
Come sta andando la causa?
«A luglio 2020, il Tar Lombardia aveva detto che ci voleva vedere più chiaro e, quindi, aveva fissato un’udienza nel mese di dicembre 2020. Al che, Invitalia, nel mese di settembre 2020, ha fatto ricorso al Consiglio di Stato chiedendo lo spostamento della competenza del giudizio dal Tar Lombardia a Tar Lazio. Quindi, lo scorso 4 dicembre, siamo arrivati alla prima udienza durante la quale anche il Tar Lazio ha espresso la volontà di approfondire gli atti e vederci chiaro. Peccato che il Tar Lazio ha fissato l’approfondimento solo alla fine del prossimo mese di novembre 2021. Un tempo veramente lungo…»
 In che senso è uno scandalo tipico italiano?
«Perché fin troppo spesso nel nostro Paese, il merito non viene premiato. Infatti, nel caso di un’azienda come HelpCodeLife, che ha riposto alla “chiamata alle armi” investendo capitali propri, non sono stati tenuti presenti una serie di elementi essenziali (come il Know-How tipico di filiera) utili ai fini della valutazione e dell’ammissione al finanziamento mentre altre aziende che non erano in filiera sono state “invitate” a sanare alcuni elementi necessari ai fini dell’ammissibilità del finanziamento. Ovviamente, queste sono informazioni che abbiamo dedotto dopo avere effettuato l’accesso agli atti ex legge n. 241 del 1990».
Lei ravvisa anche un altro “problema”…
«Esattamente. Tornando sulla questione ‘mascherine’, la conseguenza è stata che le imprese che hanno effettuato investimenti per ampliare e/o riconvertire le loro attività, si sono trovate un competitor cinese che le ha offerte a un prezzo troppo concorrenziale (0,10 centesimi/pezzo), impossibile da sostenere con i costi di produzione delle aziende italiane. Questo competitor cinese è stato introdotto nel mercato nazionale proprio dal Commissario Straordinario Arcuri dopo che lo stesso aveva garantito che, a far data dal mese di settembre 2020, tutte le mascherine sarebbero state di produzione italiana, grazie alle aziende riconvertite (o ampliate) con i contributi del decreto “Cura Italia”. Allo stato attuale molte di queste imprese sono nelle condizioni di non poter effettuare la produzione di mascherine per l’impossibilità di competere sul mercato a un prezzo finito finale almeno pari a quello delle mascherine cinesi. Le aziende italiane hanno gli impianti, i macchinari e le materie prime acquistate inutilizzati e, di conseguenza, sono impossibilitate a effettuare il normale ammortamento economico degli investimenti, registrando ovviamente, delle perdite di bilancio. In un momento come questo, sarebbe stato molto meglio evitare alle nostre imprese una “beffa simile”».