Tik Tok, l’app cinese da 1,5 miliardi di utenti al mese erede di musical.ly che minaccia privacy e sicurezza

Popolarissima tra ragazzi e giovanissimi, tra brevi filmati e video musicali attrae gli utenti anche grazie alla sua intuitività

Sono oltre 2 milioni gli utenti italiani attivi ogni mese su Tik Tok, in prevalenza di sesso femminile. Tutti ne parlano e, soprattutto i più giovani, l’hanno già scaricata sul proprio smartphone e se ne servono abitualmente. Non c’è under-20 che non sappia di cosa si tratti. 
Proprio così, Bytendence, ditta cinese che ha sviluppato il software, ha fatto centro, andando a colpire il bersaglio sì più scontato, ma in modo così efficace e capillare da meritare fragorosi applausi, ma anche una seria riflessione. 
Innanzitutto, contestualizziamo il fenomeno. Tik Tok è un’app difficilmente etichettabile ed inquadrabile in rigide categorie; è un social, ma non alla maniera di Facebook e Instagram, o al meno non del tutto, e con WhatsApp ha proprio poco da spartire. Tik Tok è, in primis, un’app di svago e un ludico passatempo, caratterizzato dalla sua estrema intuitività, che consente a qualunque neofita di muoversi senza problemi tra i menù e le interfacce. Scopo o, per meglio dire, contenuto dell’app è la creazione di brevissime clip, filmati di pochi secondi in cui gli utenti si esibiscono in altrettanto brevi performances, reali o in playback, con una base musicale preimpostata e selezionata dall’utente stesso. I video ottenuti, a cui si possono applicare numerosi filtri, tra i quali spiccano il rallenti e l’acceleratore producono un risultato che, se pur ridotto ai minimi termini, si può considerare semi-professionale. 
Come detto, i video sono molto brevi e possono avere una durata compresa tra i 10 secondi e il minuto. Perché? Semplice, perché viviamo nell’età della schizofrenia e qualunque attività impegni la nostra concentrazione per più di pochi minuti viene immediatamente accantonata: è la cifra dei social e la chiave del loro travolgente successo, Tik Tok non fa eccezione. 
Fin qui, tutto nella norma; siamo in presenza di un fenomeno mediatico come tanti altri, un fenomeno destinato a durare qualche mese per poi cadere nel dimenticatoio (cosa che non succede con i social “veri”, motivo per cui stentiamo a definirlo tale strictu sensu). Ma come tutti i grandi tormentoni, specie quelli informatico-tecnologici, che si tratti di software, dispositivi o app, anche Tik Tok è finito sotto la lente di ingrandimento degli esperti di privacy e cyber-security. E di lì al banco degli imputati il passo è breve. Non dimentichiamo che viviamo in un contesto in cui l’uomo più potente del mondo (o presunto tale) il presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, ha raggiunto la massima carica d’Oltreoceano grazie, sostengono alcuni, ad una potente campagna online e sui social con presunte irregolarità e infrazioni che lo avrebbero enormemente favorito sulla rivale democratica Hillary Clinton. Vere o presunte che siano, tali accuse pesano sul clima generale e dunque anche Tik Tok, per tornare a noi, è stata passata al vaglio da molti esperti del settore. Ne è risultato che, oltre a immagazzinare milioni di volti degli utenti per scopi illeciti, la ditta produttrice del software si sarebbe servita del proprio prodotto per indirizzare l’opinione pubblica, in particolare censurando alcuni contenuti ritenuti “scomodi” dal governo di Pechino, piazza Tienanmen in cima alla lista, seguita a ruota dall’indipendenza tibetana.
Ora, quanto tutto ciò possa interessare al 16enne medio che abitualmente carica video sulla piattaforma, è tutto da appurare. Quel che risulta certo è però che dei rischi ci sono e a metterli in evidenza sono stati personaggi del calibro di Mark Zuckerberg e alcuni senatori statunitensi. 
Al di là di tutto ciò, la riflessione che sorge spontanea è la seguente: come è possibile che un’applicazione come Tik Tok, che già nel nome richiama lo scorrere frettoloso del tempo e la frenesia della vita odierna ma anche la rapidità e la conseguente scarsa profondità di contenuto e riflessione, possa raggiungere tali vette di successo? La risposta che ci siamo dati è che “la generazione dagli occhi bassi”, quella di coloro che sono cresciuti con lo sguardo chino su un dispositivo elettronico, ritiene tutto ciò normale. Il compito che dunque spetta agli educatori di questa generazione è arduo: ai giovani occorre insegnare che Tik Tok può essere un piacevole modo di trascorrere alcuni minuti della giornata, ma non è la vita vera. La realtà è fatta di pensiero, riflessione, lunghe pause e momenti di concentrazione che, seppur facendo i conti con l’agilità e la smaniosità del mondo d’oggi, non possono e non devono scomparire, pena la riduzione dell’umanità a una massa di uomini-social telecomandati dai pochi che ancora sapranno anteporre il pensiero e l’opinione alla mera esecuzione di azioni conformistiche.
Emanuele Grassini
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