Il Covid-19 a cent’anni dall’influenza spagnola; un passato che oggi, distanti e divisi, ci lega e ci unisce per la vita di domani

La storica Petra Di Laghi ripercorre le anologie, a distanza di un secolo, fra l'influenza che fece più vittime della Grande guerra e la pandemia dei giorni nostri

Una rappresentazione d'epoca

Una rappresentazione d'epoca

L'11 marzo 2020 il direttore generale dell’OMS annunciò al mondo: "Nelle ultime due settimane il numero di casi di COVID-19 al di fuori della Cina è aumentato di 13 volte e il numero di paesi colpiti è triplicato”. Il nuovo coronavirus veniva dichiarato una "pandemia".
Non era il drammatico inizio di una serie TV apocalittica, ma un incubo che diventava realtà.
Dal primo focolaio epidemico, il Covid-19 è diventato nel giro di poche settimane una malattia trasmissibile per contatto diretto “uomo-uomo”, capace di arrivare letteralmente "ovunque". Il termine pandemia, dal greco pan-demos, ovvero “tutto il popolo”, non indica tanto l'aggressività del virus, quanto piuttosto la sua diffusione a livello geografico.

Nel frattempo, la sera di quello stesso giorno l'Italia veniva "blindata" dalle parole del Presidente, Giuseppe Conte, che con un messaggio a tutta la nazione dava inizio alla quarantena.
“Lavarsi spesso le mani, evitare abbracci e strette di mano, mantenere la distanza di almeno un metro”.
Sono solo alcune delle precauzioni diramate dal Ministero della Salute per contenere il contagio del virus. Disposizioni molto simili a quelle emesse esattamente cent’anni fa nel Regno d'Italia.
"Evitare i contatti coi malati e con i convalescenti, condurre vita sobria ed ordinata, evitare i luoghi chiusi di pubblico ritrovo di ogni genere " recita un documento del 1918 del Ministero dell’Interno – Direzione Generale della Sanità Pubblica, mentre nell’ottobre dello stesso anno il “Popolo d'Italia” scriveva “...si impedisca a ogni italiano la sudicia abitudine di stringere la mano e la pandemia scomparirà nel corso della notte...”.
Norme simili, ma contro un nemico diverso.
 “Una strana forma di malattia a carattere epidemico è comparsa a Madrid... l'epidemia è di carattere benigno non essendo risultati casi letali ...”, così nel febbraio 1918 l'Agenzia di stampa spagnola Fabra diffondeva la prima notizia della più terribile delle pandemie del Novecento. Mentre la Spagna neutrale e la sua stampa non subivano alcuna censura, nell'Europa della Grande Guerra, tutto taceva, ma le notizie dei primi disagi raggiunsero ben presto i paesi stranieri che la chiamarono «influenza spagnola».
Un ospedale militare da campo del 1918

Un ospedale militare da campo del 1918 Foto dalla Banca dati dei servizi sanitari italiani nella prima guerra mondiale. http://www.sanitagrandeguerra.it/

Una malattia dal primo caso del 4 marzo 1918 fino al 1920 colpì prevalentemente giovani tra i 20-40 anni di età, causando la morte di 50-100 milioni di persone (il 2,5-5% della popolazione mondiale).
Seppure tra le vittime vi furono intellettuali come Guillaume Apollinaire, Egon Schiele e Max Weber e tra i contagiati Edvard Munch, Thomas Wilson, Walt Disney, il “killer più feroce del XX secolo” cadde nella “congiura del silenzio”.
Furono pochi coloro che ne parlarono. Quasi che la più terribile fra le pandemie del Novecento non fosse mai esistita. Nessun capitolo di un libro l'avrebbe resa protagonista come accade per la peste del 1348 narrata dal “Decameron” di Boccaccio o quella del 1630 dei “Promessi sposi” Manzoni.
Oggi invece le notizie sul Covid-19 hanno un rimbalzo mediatico quasi assordante. I “bollettini di guerra” dal "fronte", dove eroi con il camice combattono ogni giorno, scandiscono le nostre giornate.
Momenti indelebili che si sedimenteranno nei ricordi del nostro passato identitario nazionale. Quel passato a cui adesso, mentre restiamo a casa impotenti, guardiamo come faro di speranza ed esempio di cultura. Un passato che oggi, distanti e divisi, ci lega e ci unisce per la vita di domani.
Petra Di Laghi
Dott.ssa Petra Di Laghi

Dott.ssa Petra Di Laghi Storica, divulgatrice, ricercatrice