L’angolo del libro: “l’appello”, dell’autore Alessandro D’Avenia

La scuola come la vita è un campo di battaglia, un Iliade, che poi lascia il filo del racconto al viaggio del ritorno, la nostalgia, l’impossibilità, il dolore, l’Odissea. Solo chi ama può comprendere la profondità dell’abisso in cui ricaccia il dolore e da cui si può riemergere grazie all’amore sconfinato nei confronti di sé stessi, dei proprio compagni e famigliari, della società e della scuola.

Un libro, un dono: questo del Natale 2022. D’Avenia lo apprezzo il lunedì sulle pagine del Corriere quando intrattiene il pubblico con le sue cronache scolastiche. La lezione per lui diventa occasione per sondare il grado di conoscenza degli studenti e offrire una veduta a volo d’uccello sulle implicazioni che un termine, una modalità di accrescimento offrono ad una classe più ampia di lettori. Immagino che l’appello richiami il primo approccio con la classe, il chi sono io e chi siete voi. Essere maestri e docenti allo stesso tempo, lo apprendiamo leggendo questo romanzo che penetra nei gangli della vita di ogni personaggio chiamato a svolgere un ruolo, ma non avulso dal resto. L’incontro fra l’insegnante Omero Romeo, cieco, con gli studenti è emblematico. Già le presentazioni con il preside, che si chiede come possa un insegnante di scienze cieco insegnare la materia, aprono uno squarcio sulla apparente normalità di una scuola che nulla sa e intende sapere sui soggetti chiamati a imparare, senza però che si sappia nulla di sé stessi. Tutti sono degli estranei e fatta salva una conoscenza superficiale il resto è buio pesto, completo. Omero, come il cantore, come Tiresia, è cieco, perché chi comprende non ha bisogno di vedere o meglio “vede” con gli altri sensi. Rafforza il tatto, l’odorato, l’intuito e l’immaginazione. La scuola come la vita è un campo di battaglia, un Iliade, che poi lascia il filo del racconto al viaggio del ritorno, la nostalgia, l’impossibilità, il dolore, l’Odissea. Solo chi ama può comprendere la profondità dell’abisso in cui ricaccia il dolore e da cui si può riemergere grazie all’amore sconfinato nei confronti di sé stessi, dei proprio compagni e famigliari,  della società e della scuola. Il percorso è ad ostacoli, perché il maestro ha bisogno di provare nuovi strumenti: ascoltare la voce degli allievi, fissare la loro posizione nello spazio, ascoltare dalla loro viva voce il racconto della loro vita, dare un nome alle cose e alle persone, vivificarle, renderle protagoniste del loro percorso vitale. Gli studenti sono scettici, non credono che un supplente qualsiasi, cieco per giunta, possa sondare il loro animo e dare risposte ai mille perché, alle difficoltà che incontrano quotidianamente, non vogliono farsi toccare il viso, farsi mettere le mani addosso. Ma poi piano piano si affidano a lui, al suo racconto stellare, ai perché a cui rispondere, alla necessità di rispondere all’appello, “ponendosi verso gli altri”. Questo processo di autoconsapevolezza mette in atto una rivoluzione di comportamenti verso sé stessi e verso gli altri. Siamo alla ricerca della verità, insinua Omero/Romeo e per questo dobbiamo dotarci di amore e aspirare alla conquista della libertà, intesa come mancanza e figlia del bisogno e povertà, come la descrizione di Eros nel Simposio di Platone, che riferisce il lungo colloquio di Socrate con Diotima. Questo processo ha bisogno di espandersi e come un’onda travolge l’istituzione scuola, il preside innanzitutto e poi il ministro che non comprende le necessità degli studenti e in un maldestro tentativo di assimilazione viene costretto a dimettersi perché il suo giuoco di strumentalizzazione lo fa cadere in disgrazia politica. L’insegnante viene espulso in un impeto reazionario e questo sembra mettere in discussione l’esito degli esami di Stato, ma poi in un ultimo sussulto di generosità Omero/Romeo spinge i ragazzi a farsi portavoce presso il Ministero dei desiderata del mondo studentesco. Offre persino la sua casa per supplire alla mancanza di lezioni dopo la sua espulsione e attende l’esito di un intervento chirurgico per poter tornare a vedere, ma la sua malattia è ben più grave e l’operazione non ha esito positivo. Patrizia, la donna tuttofare, laureata in letteratura russa, la bidella che conosce i ragazzi meglio di tutti, è la sua musa, gli offre il caffè ogni mattina e il braccio per accompagnarlo. Tutte le risorse umane sono chiamate a collaborare per adempiere la missione: fare della scuola il luogo della sperimentazione e della conoscenza, il luogo di passaggio per giovani che si affacciano alla vita.
Paolo Rausa

Alessandro D'Avenia
"l'appello"
Mondadori Libri,
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