Le prime streghe di Milano: la tragica storia di Sibilia Zanni e Pierina de Bugatis

Quando superstizione e paura trasformarono le credenze popolari in condanne a morte e diedero il via alla caccia alle streghe

Correva l'anno 1384 quando due donne milanesi, Sibilia Zanni e Pierina de Bugatis, entrarono nella storia come le prime donne accusate di stregoneria a Milano. La persecuzione ebbe inizio ufficialmente nel 1327, con la Bolla papale "Super illius specula" di Giovanni XXII, che sancì l'approvazione universale della lotta alla stregoneria attraverso l'Inquisizione. Prima di loro, il primo ad essere giustiziato per stregoneria a Milano non fu una donna, ma uno stregone: Gaspare Grassi, originario di Valenza, accusato di essere un "pubblico negromante” ed un “incantatore di demoni”. Giovani e rispettabili per l'epoca, Sibilia Zanni era la moglie di Lombardo de Fregulati, mentre Pierina de Bugatis era sposata con Pietro da Brivio. Nonostante le loro vite apparentemente ordinarie, le due donne si trovarono al centro di uno dei primi processi inquisitoriali di Milano, un evento che avrebbe posto le basi per una lunga serie di persecuzioni future.
Questo racconto intreccia superstizione, credenze pagane e paure medievali, dipingendo il tragico destino di due donne travolte dalle angosce e dalle ossessioni del loro tempo.

Immagine generata con AI

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L'inizio: una confessione involontaria

Sibilia Zanni e Pierina de Bugatis furono convocate davanti al temuto tribunale dell'Inquisizione, presieduto da fra’ Ruggero da Casale, noto per il suo rigore ma anche per l'adesione alle linee di clemenza suggerite dalla dottrina del “Canon Episcopi”. Le accuse contro le due donne erano sorprendenti e sinistre: confessarono di far parte di una società segreta guidata da una figura enigmatica, “Madonna Oriente”, conosciuta anche come la “Signora del Gioco”. Questa misteriosa entità era descritta come una donna dai poteri soprannaturali che radunava vivi e defunti in incontri notturni.
Pierina, la più loquace delle due, rivelò che gli incontri avvenivano ogni giovedì notte, in luoghi remoti e boscosi. Fu introdotta alla setta da sua zia Agnesina per consentire a quest'ultima di morire e unirsi alla schiera dei morti. Questi riti richiedevano un equilibrio tra vivi e defunti: per ogni spirito che lasciava il mondo terreno, un nuovo adepto doveva prenderne il posto. Durante le riunioni, uomini e donne festeggiavano con fantasmi e bestie, evitando sempre asini e volpi, animali considerati sacri per la loro associazione simbolica con la Passione di Cristo. Gli animali sacrificati venivano consumati, ma con un tocco della sua bacchetta magica, Madonna Oriente li resuscitava, sebbene tornassero cambiati e meno vigorosi rispetto a prima del sacrificio.
Le dettagliate descrizioni di banchetti e resurrezioni impressionarono i giudici per la loro vivida stranezza, ma fra' Ruggero rimase dubbioso sull'effettiva realtà delle esperienze narrate. Le imputate, tuttavia, non vedevano nulla di malvagio o peccaminoso nelle loro azioni, attribuendo a Madonna Oriente un potere benevolo simile a quello di una guaritrice divina.

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Un mondo di fantasia e realismo magico

Le dettagliate descrizioni di Pierina dipingevano voli notturni nei cieli della Lombardia, durante i quali la Signora del Gioco, accompagnata da una variopinta schiera di spiriti e seguaci, benediceva le case e consumava con gioia il cibo lasciato sulle tavole. Questi racconti, ricchi di elementi onirici, evocavano miti ampiamente diffusi in tutta Europa. In Germania, Holda e Perchta, figure simili a Diana, si diceva percorressero le campagne durante le dodici notti del Natale per premiare l’ordine domestico e punire la negligenza. Allo stesso modo, Madonna Oriente rappresentava una sorta di "signora delle benedizioni", il cui giudizio determinava la fortuna o la sventura delle famiglie visitate.
Le parole di Pierina delineavano un mondo dove magia e realtà si confondevano, un universo regolato da antiche leggi naturali e sociali. Durante questi viaggi, Madonna Oriente trasportava interi cortei volanti da una località all’altra, cavalcando venti impalpabili che solo gli iniziati potevano domare. Gli animali sacrificali, uccisi e poi riportati in vita, simboleggiavano il ciclo eterno di morte e rinascita, un tema che risuonava profondamente nelle pratiche agrarie e rituali precristiane. Gli inquisitori, tuttavia, non compresero il significato simbolico di queste narrazioni.
Nonostante la peculiarità delle dichiarazioni, fra' Ruggero non credette che queste donne fossero streghe nel senso letterale del termine. Fedelmente alle linee guida del Canon Episcopi del IX secolo, considerò i loro racconti illusioni instillate dai demoni per confondere le menti semplici. Per lui, non vi era malizia consapevole, ma solo la diffusione di credenze pericolose.
Il verdetto fu quindi clemente: una multa di dieci fiorini e una pubblica penitenza da svolgersi in tre chiese cittadine. Entrambe promisero di non prendere più parte a quegli incontri immaginari, e la giustizia, almeno per il momento, sembrò temperata dalla moderazione.

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La stretta della persecuzione: il processo del 1390

La storia non si concluse nel 1384. Sei anni dopo, nel 1390, l’Inquisizione tornò a bussare alla porta di Sibilia Zanni e Pierina de Bugatis, ma questa volta sotto la guida di fra’ Beltramino da Cernuscullo. Diversamente dal suo predecessore, Beltramino applicava un approccio molto più rigido, simbolo di un’Europa cambiata. Le devastazioni causate dalla peste nera avevano decimato la popolazione, anni di carestie avevano portato miseria, e la crisi dello Scisma d’Occidente aveva minato la fiducia nella Chiesa. In un contesto di paure crescenti, la stregoneria passò da essere vista come innocua superstizione a minaccia concreta e tangibile.

La nuova accusa rivolta a Sibilia e Pierina fu di "relapsus", ovvero ricaduta, un crimine considerato gravissimo. Questa volta, le loro stesse parole condannarono le due donne. Pierina de Bugatis, sotto pressioni crescenti, raccontò di incontri carnali con un demone chiamato Lucifello, descritto come uno spirito oscuro che la possedeva durante i riti. Confessò anche di aver stretto con lui un patto di sangue, un simbolo inequivocabile di alleanza con il diavolo secondo la dottrina inquisitoriale.

Questi dettagli, sebbene influenzati dalle ossessioni dell’epoca sul satanismo e probabilmente estorti con la forza o la paura, cambiarono radicalmente l’esito del processo. Fra’ Beltramino non solo credette ai voli notturni e ai banchetti soprannaturali descritti, ma prese alla lettera la narrazione dei rapporti demoniaci. Il nuovo inquisitore dichiarò che le fantasie di sei anni prima erano in realtà manifestazioni reali del potere del maligno sulla terra.

Il clima culturale di quegli anni rendeva impossibile qualsiasi clemenza. La dottrina stava evolvendo rapidamente, spinta da una crescente letteratura sulla stregoneria, che trasformava antiche credenze in accuse formali di eresia e complotto satanico. Quella che nel 1384 era stata giudicata una fantasia ingenua, nel 1390 divenne la prova schiacciante di un’alleanza malefica, sigillando definitivamente il destino di Sibilia e Pierina.

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Il tragico epilogo

Il verdetto fu implacabile e segnò un punto di non ritorno nella storia delle persecuzioni per stregoneria. Sibilia Zanni, che aveva mantenuto un atteggiamento più discreto e remissivo durante il processo, fu la prima ad essere giustiziata. Nel maggio del 1390, venne condotta pubblicamente in Piazza Vetra, il luogo deputato alle esecuzioni capitali a Milano. Legata a un palo e circondata da fascine secche, affrontò le fiamme senza alcun conforto. Il fuoco, che trasformò il suo corpo in cenere, simboleggiava l’inflessibilità di una giustizia sempre più ossessionata dal male invisibile. Il suo sacrificio segnò l’inizio di una nuova fase di repressione.
Qualche mese dopo, Pierina de Bugatis subì la stessa sorte. A differenza di Sibilia, Pierina, nota per la sua eloquenza, attirò una folla ancora più numerosa. Le sue urla, secondo le cronache del tempo, risuonarono a lungo, alimentando sia l’orrore che la morbosità dei presenti. Il rogo divorò il suo corpo, ma l’eco delle sue ultime parole – che imploravano pietà e giustizia divina – si sparse come un avvertimento. Le due esecuzioni, cariche di simbolismo e crudeltà, rappresentarono un sinistro preludio alla violenta caccia alle streghe che avrebbe sconvolto l’Europa nei secoli successivi.

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Un fenomeno che crebbe a dismisura

La tragica fine di Sibilia e Pierina fu solo l'inizio. Negli anni successivi, la pubblicazione del Malleus Maleficarum di Heinrich Kramer e Jacob Sprenger avrebbe formalizzato la teoria della stregoneria come complotto satanico. La tortura divenne uno strumento comune per estorcere confessioni. La paura si diffuse come un incendio in tutta Europa.

Tra il XV e il XVII secolo, migliaia di donne e uomini furono accusati, processati e condannati per stregoneria. Sebbene la maggior parte delle vittime fossero donne, un numero significativo di uomini finì allo stesso modo. Le vittime erano spesso guaritrici, levatrici o semplicemente individui eccentrici, colpiti dalla ferocia della giustizia inquisitoriale.

Oggi, Piazza Vetra è un luogo tranquillo, ma le sue pietre portano il peso della memoria. Ricordare Sibilia Zanni e Pierina de Bugatis significa comprendere come la paura, combinata con l'ignoranza, possa alimentare la violenza. Le fiamme che le bruciarono si sono spente, ma l’eco della memoria risuona ancora oggi. La loro storia è un monito contro il fanatismo e l'intolleranza, che ricorda quanto sia fragile il confine tra giustizia e persecuzione.

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