Milano: “Donne a perdere. Piccole storie di ordinaria quotidianità”, la mostra che “urla” per dare voce a chi voce non ha più | Gallery |
Un dialogo tra pittura e narrazione realizzato da Carla Bruschi e Barbara Sanaldi, per dire basta alla violenza sulle donne. Ma non solo
19 settembre 2018
Inaugurata martedì 18 settembre 2018 la mostra “Donne a perdere. Piccole storie di ordinaria quotidianità” presso il palazzo di Regione Lombardia, voluta fortemente dall'assessore al Welfare Giulio Gallera. Un connubio tra arte, con le toccanti opere dell’artista Carla Bruschi, e narrativa, grazie alla splendida penna della giornalista e narratrice Barbara Sanaldi.
Quattordici stazioni, come quelle della Via Crucis, più una che rappresenta la Resurrezione. Quattordici stazioni che raccontano una realtà dal punto di vista delle vittime. Vittime che non sono deboli, incapaci di reagire; ma sono donne e ragazze forti, che sognano, che hanno voglia di vivere e di realizzarsi. Sono donne che hanno avuto fiducia in uomini, padri, compagni, mariti che avrebbero dovuto amarle e invece si sono rivelati mostri violenti, subdoli, possessivi, gelosi, incapaci di amare davvero.
Narcisi, perfetti all'esterno, ma che dentro nascondono il buio. Un buio che inghiotte e fa vacillare la forza d’animo delle donne che hanno avuto la sfortuna di incontrarli, un buio che rende deboli perché va oltre la violenza fisica, diventa anche e soprattutto violenza psicologica che va a minare il coraggio, la capacità di reagire. Una violenza che culmina in un atto tragico, che spesso coinvolge anche i bambini.
Una violenza psicologica che ben esprime la Sanaldi in una delle narrazioni: «[…]non è egoista, non è violento, non è opprimente. Sono io, sono io che ho ancora tante cose da imparare. Lui mi ama […]. Me lo dice sempre […]. Non è un mostro […]. È lui che sa come si devono fare le cose, come ci si comporta. Io devo solo imparare, obbedire, stare attenta. Basta non farlo arrabbiare. Basta essere come lui mi vuole. Perfetta».
La perfezione… perfezione pretesa come se una donna non possa avere difetti, non possa sbagliare, non possa nemmeno essere talvolta scompigliata. O, al contrario, non possa curare il proprio aspetto, vestirsi in modo femminile e sentirsi donna. Perfezione che non esiste ma che diventa motivo per perpetrare le violenze in qualsiasi forma.
Ed è così che frasi come «Ti riempirò di stelle» o «Non ti farò mai mancare nulla», e ancora «Sei bella. Sei delicata come questo fiore, sei una stella» che si trasformano in «Non si fa così, aspetta te lo spiego», «No ma cosa fai, lascia non sei capace» per diventare poi «Devi farti vedere, vai dal dottore. Vai, non mi costringere a portar via i bambini», «Così non esci», «Quell'uomo ti ha guardata» e culminano in una violenza verbale che ben identifica questi uomini «Non sarai mai mia, e allora non sarai di nessuno», «Non fiatare, non ti permetto di fiatare. Zitta. Sei roba mia».
Sei roba mia, già, perché per questi uomini, le donne – di qualunque età esse siano – sono oggetti, oggetti di loro proprietà. E se non possono più averle, allora non devono essere di nessun altro. Per questi uomini non esiste l’amore, esistono solo l’egoismo e il possesso. Sono uomini che promettono «Non lo faccio più» per poi ricominciare sempre peggio. Sono uomini che annullano. E che spesso se la prendono con i bambini per un modo distorto di vedere le cose, per vendetta.
E le donne, queste vittime, che si raccontano attraverso le parole e le immagini; raccontano una realtà che è quella non di vittime, ma di donne contemporanee; donne luminose che si trovano ad attraversare l’oscurità; donne che meritano Amore, quello con la A maiuscola, ma che si sono scontrate con una quotidianità che nemmeno immaginavano. Donne che forse hanno provato anche a raccontarla, questa quotidianità oscura, ma a cui nessuno a creduto davvero.
Come ha dichiarato l’artista Carla Bruschi: «In questa mostra non ho voluto interpretare una donna con pena, con pietà, solo con dolore. Io ho rappresentato una donna forte, una donna decisa, una donna combattiva, una donna che è soprattutto nella contemporaneità. Ho voluto rappresentare la donna di tutti i giorni».
E colpiscono molto alcune delle frasi che la pittrice ha inserito nei quadri, frasi che si sposano perfettamente con le rappresentazioni nelle opere e con il narrato della Sanaldi. In effetti come ha svelato la stessa Bruschi: «Molti mi chiedono se le frasi che sono nei quadri le scrivo io e poi le stampo e le pubblico. No, il lavoro che faccio io è quello di leggere moltissimo le riviste femminili, sono una “raccoglitrice seriale” di giornali di moda e raccolgo le frasi che mi colpiscono, dopo di che quando faccio un quadro, al momento giusto, ricerco una frase o me ne ricordo una che ho visto sfogliando il giornale. In pratica prendo le immagini e le frasi che mi piacciono di più, “scortico il giornale” e questa ricerca può durare anni. A volte però ci sono delle coincidenze incredibili, come in questo caso perché nel momento in cui ho saputo che dovevo fare questa mostra trovavo frasi che potevano essere subito collegate al tema dell’esposizione, quindi questo passaggio è stato anche molto entusiasmante».
Fra opere e narrazione c’è una connessione tanto profonda da commuovere, una narrazione secca eppure toccante, che racconta pensieri possibili. E questo si ritrova nelle affermazioni di Barbara Sanaldi, che ha raccontato a 7Giorni: «Io ho sempre scritto storie; queste nascono forse come reazione al fatto di aver sempre scritto storie di cronaca nera, dove quindi sei obbligata a rispettare certi canoni, a parlare solo di fatti e a raccontare cose che hanno riscontro nelle indagini. Mi mancava la vittima, il “vero protagonista”. Ho provato a immaginare cosa avrebbero raccontato loro e come loro avrebbero visto quello che gli era accaduto. L’intento era quello di dare il contrasto tra una vita normale, se vogliamo, e quello che capita, purtroppo, troppo spesso. E come ho già detto in altre occasioni, era forse la voglia di dare voce a chi non ha più voce».
Pugni, pugni nello stomaco, pugni al cuore e all'anima, una stazione dopo l’altra. Questo è la mostra “Donne a perdere. Piccole storie di ordinaria quotidianità”. Sberle e riflessioni profonde. Per donne che forse non riescono a raccontare, per uomini che forse nemmeno si rendono conto del loro modo di essere. Per chiunque sia contro la violenza su donne e bambini.
Una mostra che nella sua ultima stazione, dà però un messaggio di speranza e di reazione, una vera e propria Resurrezione nel momento in cui si reagisce, si denuncia e ci si riprende la propria vita: «Ascolta. Adesso ascolti. La senti la mia storia. Te la racconta il giudice. Ascolta, ascoltala bene».
E per tutte quelle donne che non possono più parlare: «Che continuino a sognare. Che continuino ad ascoltare quei sogni ma senza prestare orecchio a chi dice che quei sogni li può trasformare in realtà. Dillo, racconta. E parla di me, della mia storia, di quello che sono diventata oggi. Pezzo di carne da macello […]».
Elisa Barchetta
19 settembre 2018