Un estate “fantasy” con “L’ultima fata di Taht”, il primo romanzo di Valeria Giacomello. Leggi due estratti dal libro.

Presentato il 12 Giugno a Pantigliate nella prestigiosa Villa Mora, il racconto di avventura e amore della popolare giornalista e attivista dei diritti civili porterà i lettori in un mondo che anche se non esiste diventerà reale pagina dopo pagina

Valeria Giacomello

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Chi conosce l’autrice, lo ha sempre saputo. Valeria Giacomello è una donna in gamba. Ha sempre fatto la sua parte per la sua comunità senza risparmiarsi. La pubblicazione del suo libro in tutto il sud est Milano è stato accolto con trasporto e partecipazione. Da sempre è impegnata a cercare di migliorare il mondo che la circonda, attraverso le sue molteplici attività di volontariato, di promozione sociale, in difesa dei più deboli. Ha una passione sfrenata per i suoi cani e per tutti gli animali. È una persona romantica, pronta a lottare in quello che crede. E si sa che a volte, quando non ti unisci al coro, si pagano le conseguenze. Ma a lei non è mai importato è andata sempre a testa alta. Apprezzata professionalmente per la sua capacità di raccontare i fatti in modo equilibrato, nel suo romanzo ha messo da parte la sua equidistanza e si è schierata, i suoi personaggi hanno tutti qualcosa di lei. Durante il lockdown ha trovato l’ispirazione per terminare un lavoro che aveva in testa da tempo. Appassionata di racconti fantasy, e lettrice accanita di tutti i generi letterari con una predilezione per i gialli non ha lasciato nulla al caso. Un grande lavoro di approfondimento per raccontare le epiche battaglie e tanto di suo nella storia d’amore che vive sulle pagine del racconto di avventura, la narrazione porterà i lettori in un mondo che anche se non esiste diventa reale pagina dopo pagina. Valeria Giacomello vi porta nel suo mondo. Il 12 giugno, la prima presentazione del libro è avvenuta a Pantigliate, nella splendida cornice di Villa Mora. Giacomello è stata supportata da tutta la comunità: l’amministrazione comunale che ha messo a disposizione la location e ha partecipato con trasporto alla “prima”, la biblioteca che ha diffuso la notizia, il Centro donne che ha supportato la presentazione anche logisticamente, l’associazione InDiaologo i cui allievi della scuola di teatro hanno inscenato una rappresentazione con i personaggi del libro. Qui ci tengono a Valeria Giacomello e glielo hanno fatto sentire.
Mahiar, l’ultima fata di Taht, fugge sul nostro pianeta con un compito gravoso: salvare il suo e il nostro mondo dall’annientamento totale. Con sé reca un amuleto e un papiro: due elementi che, insieme a una serie d'indizi, la porteranno a intraprendere un viaggio in lungo e in largo per l’Italia e la Scozia alla ricerca delle Pietre del Potere. Al suo fianco Alex, uno scrittore di best seller disposto a tutto pur di sconfiggere i nemici e conoscere la storia di Mahiar, così inaspettatamente vicina a lui. L’ultima fata di Taht racconta, in un turbinio di eventi, rivelazioni e sacrifici, un’avventura straordinaria, immergendosi in profondità nell’universo dei sentimenti e indagando l’ineluttabilità del destino.
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Estratto dal romanzo 1: l'incontro con Alex

La figuretta strisciava nell’ombra. Procedeva a piccoli scatti, così veloce e silenziosa da non essere udita o notata. Non che comunque ci fosse qualcuno che avrebbe potuto accorgersi di lei: il luogo era deserto, e il silenzio interrotto a tratti solo da un lontano sferragliare di treni.
Si nascose nel buio di un anfratto e si fermò ansante. Non poteva farcela, ma non si sarebbe data per vinta così facilmente. “Dovranno sudare”, pensò, “e tanto, per prendermi”. Ma sentiva in bocca il sapore amaro della sconfitta. “Mi uccideranno, e allora che ne sarà di noi?”
La consapevolezza di essere l’ultima speranza della sua gente le restituì un po’ di vigore, e riprese a muoversi silenziosamente cercando una via di fuga.
Improvvisamente, senza alcun segnale premonitore, sentì da dietro di sé due mani grosse e nodose afferrarla alla gola. La stretta le permetteva di respirare a fatica, e lacrime di dolore cominciarono a scenderle dagli occhi. La creatura la voltò per guardarla in faccia, con un sogghigno contento: la preda era stata incredibilmente difficile da catturare, e ora stava per avere la soddisfazione di vedere i suoi occhi terrorizzati e sentirla implorare pietà prima di finirla.
Ma lo sguardo di lei era fermo, e gli occhi pieni di accusa. Non cercava più di dibattersi, e si era lasciata andare a quell’abbraccio mortale quasi con rassegnazione.
Lui grugnì di rabbia, poi tirò fuori un medaglione e cominciò a mormorare una strana litania a bassa voce. A mano a mano che proseguiva, e lei si accasciava, la sua ombra pareva giganteggiare sempre più sopra quella di lei.
«Amanar zebu mirica novus…» al suono di quelle antiche formule lei sentì una forte pressione al cuore «Amanar zebu captica andres» la pressione aumentò, mentre il suo corpo veniva scosso da convulsioni incontrollabili. «Così ora muori, figlia di Lilith degli Antichi Popoli, ultima della tua progenie!»
Queste parole penetrarono nel profondo del suo essere, e raggiunsero l’ultima parte ancora vitale del suo spirito. Si sollevò da terra con un grido straziante, e cominciò a dimenarsi come un burattino impazzito.
Alex sentì un urlo fortissimo provenire dal buio dei binari. Non potevano esserci dubbi: era un urlo di agonia, e proveniva da una persona in serio pericolo.
«No» pensò «non di nuovo!»
Davanti agli occhi aveva il viso di Cristina, pallido e contratto mentre gli moriva accanto. «Non ancora una volta, non qui!»
Reagì d’istinto, correndo verso la fonte dell’urlo, e urlando egli stesso con tutto il fiato che aveva in gola.
La creatura si interruppe sorpresa. La creatura guardò la sua vittima, e poi la figura che stava arrivando di corsa, indecisa sul da farsi. Ricordava benissimo il Tabù: qualsiasi cosa avesse potuto accadere, nessuno si sarebbe dovuto accorgere di lui. Urlò a sua volta di rabbia e di frustrazione. «Ci rivedremo, strega, stanne certa!» mormorò alla figuretta accasciata, mentre si allontanava nell’oscurità dalla quale era provenuto.
I binari si erano fatti nuovamente silenziosi. Alex sbatté gli occhi diverse volte, avanzando nel buio, in un inutile tentativo di vederci meglio.  Accese la torcia del telefonino e finalmente la vide: un esserino minuto e fragile piegato su se stesso, con il volto coperto da lunghi capelli neri. Lei alzò il viso per guardarlo, gli occhi ancora pieni di lacrime, prima di svenire.
Alex la prese in braccio senza fatica, e la portò verso la panchina illuminata. «È solo una bambina!» realizzò, ma si sentiva ancora addosso gli occhi di lei, che lo avevano fissato per un attimo che a lui era sembrato lunghissimo. «Una bambina con lo sguardo da vecchia», pensò avvertendo un certo disagio. La ragazza respirava flebilmente. Lui la esaminò mentre cercava di aiutarla a rinvenire: un corpo minuto, flessuoso, senza forme, eppure decisamente femminile. La pelle bianchissima, sulla quale diversi lividi ed escoriazioni risaltavano inquietanti. Il volto era quello di un folletto, non bello ma decisamente particolare, le labbra sottili socchiuse in una smorfia di dolore, e lui si sorprese a pensare che, forse, in altri momenti avrebbe potuto essere definita intrigante. I seni di lei appena accennati si alzavano ed abbassavano nello sforzo del respiro, e lui distolse frettolosamente lo sguardo.
La ragazza emise un gemito, poi si alzò di scatto, come una molla. Lui la prese per le spalle per non farla cadere, e lei lo guardò di nuovo negli occhi, con quegli strani enormi occhi neri che lui non sapeva definire, e che gli stavano procurando un senso di vertigine.
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Estratto dal romanzo 2: la battaglia

L’odore della guerra crepitava nell’aria mentre lunghe colonne di fumo nero salivano sinistre verso il cielo. Gli attacchi e i contrattacchi si erano susseguiti per ore, selvaggi e ferali, e nell’enorme confusione della mischia molti erano i corpi, come tanti papaveri recisi, caduti sul terreno verdeggiante.
I due schieramenti si erano ritirati ai lati opposti della piana, l’esercito di Zadohor nascosto fra i fitti alberi del bosco di Sirth mentre le armate di Taht si erano rifugiate nel lato opposto dietro alla collina.
Finvarra osservava l’accampamento, che odorava di ferro, sangue e dolore. Gli arcieri intenti a preparare nuove frecce, i cavalieri a riparare le maglie delle cotte insanguinate, i sani a tamponare al meglio le lacerazioni dei feriti.
«I tuoi guerrieri sono stremati», osservò Dana quasi con durezza. La dea splendeva nella sua armatura dorata come un piccolo sole luccicante. La sua sola vista era bastata fino ad allora a rafforzare gli animi e ricompattare le truppe ma il nemico si era rivelato quasi imbattibile.
«Sebbene siamo allo stremo, Madre, noi siamo i guerrieri di Tuatha-Sidhe, non ci arrenderemo mai fino all’ultimo uomo» replicò il re, ma i suoi occhi erano stanchi.
Gli istanti prima della battaglia erano stati accolti con un senso di gloriosa aspettativa, con l’eccitazione di chi non vede l’ora di gettarsi nella mischia e massacrare quanti più nemici possibili, reciderne arti, maciullarne i corpi, vedere il sangue scorrere a fiumi.
Lo schieramento di Taht era guidato da re Finvarra, che aveva suddiviso il suo esercito, formato da elfi e popolo di Taht, in tre grandi reparti, con al centro la fanteria d’assalto, protetta dai pesanti scudi e dotata di mazze e alabarde, la cavalleria ai lati, armata di lance e spadoni, e gli arcieri a chiudere le retrovie, pronti a fare piovere sui nemici le frecce infuocate imbevute di pece.
Al loro fianco, l’etere brulicava di elementari di terra, acqua e fuoco.
Lo schieramento nemico pareva molto meno organizzato ma altrettanto compatto. Troll e orchi, con le sembianze di orrendi incubi notturni, battevano a tempo gli spadoni. Le alabarde e le mazze contro i pesanti scudi di ferro e pelle, provocando un sinistro rombo che anticipava il suono della futura battaglia. I cavalli, terrorizzati, nitrivano e scalpitavano impennandosi.
Nelle retrovie dell’esercito del male, gli elfi della Corte Oscura e gli elementari dell’aria erano pronti a dare manforte.
Sospesi nel Cielo, sui loro troni dorati, gli dei Mishar, Penhar, Resaht e Bharon osservavano la scena con distacco misto a curiosità, come sinistri giudici di un torneo cavalleresco pronti a conferire ai vincitori gloria e onori e a lasciare gli sconfitti a contorcersi nella polvere.
Il primo assalto fu improvviso e selvaggio. Entrambi gli schieramenti si gettarono in una mischia furibonda, nonostante il tentativo delle ali di cavalleria di scongiurare fino all’ultimo il corpo a corpo. Fu un lungo e sanguinoso roteare di mazze snodate, di scintillio di spade, alabarde e di dardi infuocati che piovevano dal cielo come stelle cadenti impazzite.
Quando i corni di guerra chiamarono la ritirata e il denso fumo cominciò a diradarsi, sul campo rosso di sangue solo i corpi dei morti e le urla disperate degli agonizzanti rimasero a tetra testimonianza della violenza dello scontro.
Gli attacchi successivi furono altrettanto feroci. Per aiutare il lavoro di sfondamento della fanteria, Zadohor mise in campo gli elementari dell’aria che crearono un vento di polvere e terra in grado di accecare gli avversari, ma Finvarra rispose schierando gli elementari dell’acqua che dissolsero il fitto pulviscolo facendolo precipitare in pozzanghere fangose.
Di nuovo le due fanterie si lanciarono nella mischia, con i due eserciti che a turno avanzavano ed arretravano come in un macabro balletto e, ad ogni ritirata strategica, sul campo di battaglia i morti di entrambi gli schieramenti si contavano a migliaia e il gemito dei moribondi veniva coperto solo dai corni e dai tamburi di guerra che suonavano senza sosta.
Mahiar e gli Anziani giunsero alla piana dove, ad attenderli, trovarono schierato l’esercito per l’assalto finale. Le figure vestite da lunghe tuniche bianche apparivano inermi, eppure dai loro corpi irradiava un senso di potere in grado da ritemprare gli animi dei guerrieri ormai sull’orlo dello scoramento.
Finvarra accolse l’etereo corteo con gratitudine e sollievo. «Piccola fata, finalmente sei arrivata, dove sei stata fino a questo momento?»

Pantigliate, 12 giugno

Pantigliate, 12 giugno "la prima" di Valeria Giacomello a Villa Mora

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