10 Febbraio, il giorno del ricordo

Gli furono mozzate le mani e fu buttato in mare con una pietra al collo

In famiglia si racconta di un Trigari, Roberto, commerciante, che alla fine del '700 lasciò la natia Bologna per andare a vivere a Zara, capoluogo della Dalmazia, colonia della Serenissima.
Zara rimase sotto il dominio veneziano dal 1420 fino al 1797. Seguì l'era della dominazione napoleonica, fino al 1815. Con la caduta di Napoleone la Dalmazia, con capitale Zara, entrò a far parte dell'Impero Austro-Ungarico, fino alla sconfitta dell'Austria nella prima guerra mondiale. Dopo la guerra e un periodo di occupazione militare italiana,  nel 1920, solo un piccolo territorio intorno a Zara fu annesso come provincia all'Italia, mentre il resto andò a far parte del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, poi diventato regno di Jugoslavia. 
Al termine della seconda guerra mondiale, Zara venne completamente rasa al suolo (pur non essendo in alcun modo un obiettivo militare) da una serie di bombardamenti durati fino all'ottobre del 1944. Probabilmente gli alleati non erano al corrente che Zara aveva perso il suo status di fortezza dal 1868, ai tempi dell'impero austriaco, per diventare una ridente città di mare. Inspiegabile pertanto l'intento coventrizzatore che la distrusse. Successivamente tutta la Dalmazia venne annessa alla Croazia, e il regno si trasformò nella Repubblica Federale di Jugoslava, sotto la presidenza del partigiano Tito.
Mentre a Zara infuriavano i bombardamenti, e tutte le linee di comunicazione con la sede della provincia erano interrotte, nell'ottobre 1944 mio padre e mia madre (in cinta di otto mesi di mia sorella maggiore) abbandonarono la piccola isola di Lagosta (provincia di Zara), dove mio padre era pretore, per arrivare a Bari con un veliero, imbarcazione non molto diversa dalle carrette che oggi portano i migranti del sud del mondo nel nostro paese. A Zara lasciarono ogni avere e l'agiatezza costruita con il duro lavoro di sei generazioni.
Zara e il piccolo territorio annesso all'Italia, furono teatro in quel periodo di spaventose mattanze perpetrate per vendetta, quasi sempre ideologica, dai partigiani di Tito. Si noti che i partigiani mandati a Zara da Tito non erano croati, perché i croati che, per tanto tempo avevano condiviso con i dalmati le sorti di quelle terre, non avrebbero avuto l'animo di commettere le atrocità a cui si abbandonarono gli occupanti. Costoro non cercavano autorità con cui organizzare un'ordinata transizione, ma simboli del passato regime da giustiziare per consolidare una occupazione fondata sul terrore. Voglio ricordare per tutti un episodio atroce che riguarda la mia famiglia, e precisamente il marito di una zia paterna, parrucchiere alla moda molto conosciuto in città, padre di tre figli. Gli furono mozzate le mani e fu buttato in mare con una pietra al collo. Non sarò io a sostenere che i fascisti non si siano macchiati di altrettanto orrendi delitti, ma nessuno può giustificare la vendetta. Un imparziale resoconto storico di quel periodo porta alla conclusione che ci furono le atrocità che ogni guerra ha sempre portato con se su entrambi i fronti.
Da Bari mio padre come magistrato fu assegnato alla pretura di Spinazzola, cittadina della Puglia dove siamo nati noi, quattro figli. E da qui è ricominciata da zero la storia della mia famiglia.
Nel frattempo la storia di Zara ha seguito quella drammatica della Jugoslavia. La Repubblica Federale di Jugoslavia, coacervo di nazionalità assolutamente diverse tra di loro, è rimasta in piedi fino a quando è vissuto Tito, che si appoggiava come outsider al mondo comunista, ma cercava, a differenza di altri paesi, di conservare una certa autonomia dall'Unione Sovietica. Infatti, all'epoca di Tito, la Jugoslavia faceva parte del blocco dei paesi "non allineati". Alla morte di Tito la federazione è implosa e si sono scatenate guerre crudeli e sanguinose tra le varie etnie. Ai giorni nostri (dopo il 2013) sembra ormai stabilizzata la divisione nelle repubbliche di: Slovenia, Croazia, Serbia, Bosnia ed Erzegovina, e Montenegro. A queste si aggiunge il Kosovo, ancora rivendicato dalla Serbia, ma riconosciuto dall'ONU. La Croazia, entrata recentemente a far parte dell'Unione Europea, include la Dalmazia, con capitale Zara.
Ho notato una diffusa determinazione dei croati nel cancellare il più possibile l'impronta italiana in Dalmazia, quasi una rivalsa per i tanti anni in cui gli italiani hanno trattato i croati con sommo disprezzo. Disprezzo che la maggior parte dei profughi dalmati continuano ad esternare. E' fuori di ogni dubbio che, all'epoca, l'italiano era la lingua della cultura e dell'amministrazione pubblica che si avvaleva di strutture create e consolidate da Venezia a supporto dei suoi traffici. Tuttavia, in un'epoca in cui tutti si dovrebbero sentire cittadini del mondo, questi nazionalismi sono espressioni di grettezza culturale, scusabile solo in chi ha duramente sofferto la discriminazione. Le nazioni dovrebbero capire che le diversità culturali sono una ricchezza inestimabile, per tutti.
I dalmati non sono né italiani né croati, sono il portato di un modo di vivere e di una cultura che nei secoli si sono sviluppati in Dalmazia. Sono Dalmati e basta. Non dimentichiamo che i dalmati sono sempre stati bilingui. Anche mio padre, nonostante si sia sempre orgogliosamente dichiarato italiano, parlava croato. Mia madre ha addirittura fatto l'interprete giurata in tribunale, per il croato. Purtroppo i nazionalismi sono stati alimentati dagli Asburgo che così cercavano di tenere insieme il loro variegato impero. Quando i dalmati poterono farsi valere solo nel piccolo territorio di Zara, circondato dai croati, i fascisti ebbero buon gioco a soffiare ulteriormente sul fuoco del nazionalismo.
Giancarlo Trigari