Berlusconi vs. Santoro, quando la tv diventa un'arena

C'è una qualità che non si può negare a Silvio Berlusconi: quella di essere un grande combattente. Nella corrida che lo ha visto protagonista con Michele Santoro e i suoi banderillos (Marco Travaglio in testa), il Cavaliere ha ribaltato i ruoli: non è stato matato e anzi ha rintuzzato gli attacchi con l'orgoglio e la ferocia di un leone, più che di un toro.

Spiace che una trasmissione come "Servizio Pubblico", che dovrebbe essere un programma di approfondimento giornalistico e politico, in realtà non sia altro che uno show come tanti altri, a tratti irresistibile ma anche decisamente kitsch. E con pochissimo contenuto. Tant'è, il giornalismo televisivo italiano si aggrappa da decenni a personaggi che hanno ben poco a che vedere con il giornalismo: Santoro, urlatore carismatico travestito da paladino delle giuste cause, è uno di questi. 
Così, quando lo schermo mediatico diventa un'arena insanguinata, è logico che a salire in cattedra sia l'uomo-spettacolo per definizione. Anche se la lotta è uno contro tutti. Berlusconi ha attuato la strategia che preferisce, la stessa del Milan degli olandesi che portò in cima al mondo: l'attacco a oltranza. Pure quando questo significa negare l'innegabile, giustificare l'ingiustificabile e trasferire la realtà - quella vera - in un realtà parallela creata direttamente da lui. Del resto, fa tutto parte del suo - mettiamolo tra virgolette - "insegnamento": non conta ciò che realmente è, ma solo ciò che appare. 
Nella dimensione mediatica, che è quella della finzione per eccellenza, Berlusconi non ha limiti e non può avere rivali. Il contesto architettato con poco ingegno e originalità da Santoro e dal suo staff è stato proprio il ring su cui il Cav non vedeva l'ora di salire. Emblematico il confronto con Travaglio: Berlusconi, auto-dichiarandosi il fine ultimo di tutto il suo lavoro e di conseguenza il motivo del suo successo, assimila il giornalista piemontese a una delle sue tante creazioni, privandolo di fatto della sua autonomia. Non solo: in un clamoroso ribaltamento di ruoli, l'ex premier si impossessa delle strategie giustizialiste di Marco e gli legge l'elenco delle sue condanne per diffamazione.
La stretta di mano finale è l'happy end di una commedia pianificata alla perfezione in nome degli ascolti e dell'interesse reciproco: Michele sorride, carico di applausi e di audience, Silvio aggiunge una tacca alla sua assurda e paradossale leggenda. La realtà - e la verità - sono tutt'altra cosa. 
Davide Zanardi