Meglio una squadra di schiappe che giocando si diverta e cresca

Da settembre, assieme alle scuole, è ripresa anche l’attività agonistica dei bambini, e si suppone che nei genitori e negli accompagnatori prevalgano lo spirito sportivo e il divertimento. Ho recentemente assistito a un incontro di calcio tra bambini e come al solito l’aspetto folkloristico, non propriamente educativo, è stato rappresentato dai genitori che inveivano in modo alquanto colorito contro le decisioni dell’arbitro e del guardalinee, evidenziando un’eccessiva ruvidezza nei contrasti praticata dagli avversari.

Dopo la partita, alcuni genitori, che a parole sono provetti allenatori di calcio, si sono soffermati ad analizzare la sconfitta. La posizione di alcuni di loro, che evidenziava che la sconfitta fosse principalmente causata da una carenza nei fondamentali da parte della loro squadra, è diventata, da subito, minoritaria di fronte alle reiterate proteste nei confronti della triade arbitrale e nei confronti degli avversari da parte di alcuni genitori. Era enfatizzata, da questi ultimi, la tesi che i bambini debbano imparare a difendersi, ad alzare i gomiti, e che se l’allenatore non insegna i fondamentali è perché nell’allenamento privilegia all’insegnamento l’aspetto ludico del gioco. Affermazioni che ho ascoltato sconcertato e che non condivido: la prima perché non è con la ruvidezza che si vincono le partite, ma con il gioco di squadra, perché l’uno supplisce alle mancanze dell’altro, perché giocare in una squadra ha anche una valenza sociale difficilmente trasmissibile ai bambini se si pone l’enfasi sulla furbizia rispetto alla costanza e alla capacità di migliorarsi. La seconda perché i due concetti, divertimento e insegnamento, non sono in antitesi. Perché divertirsi non è una pregiudiziale per l’insegnamento, perché si può imparare divertendosi e mentre ci si diverte imparare. Gli insegnamenti che antepongono all’analisi critica del proprio comportamento (magari con valutazioni anche su come migliorarsi) un comportamento non proprio coerente con lo spirito del gioco e con l’etica sportiva, potrebbero causare nei bambini confusione e indurre gli stessi a ritenere che tale comportamento possa essere applicabile anche agli altri contesti che il bambino vive (scuola, famiglia, oratorio, rapporto con i compagni). Questo perché la settorializzazione dei comportamenti legati ai differenti contesti è sicuramente una pratica discutibile negli adulti e difficilmente capibile e applicabile dai bambini. Nell’immaginario collettivo, supportato anche dai messaggi provenienti dai media, è importante, in contraddizione con il concetto decoubertiano, solo la vittoria perché la sconfitta condanna all’anonimato chi la subisce e conseguentemente tutti i mezzi diventano o sono leciti per conseguirla. Concordo pienamente con l’affermazione del Parroco di un paesino in provincia di Prato che ha affermato che vorrebbe formare una squadra di schiappe purché giochino divertendosi e divertendosi crescano serenamente, senza ritenere il mito del calciatore con la velina una condizione necessaria e sufficiente per riuscire nella vita.