Sembra strano: l’acqua pubblica è meglio di quella in bottiglia


Tutto ciò è aggravato dalla disinformazione sull’inesauribile fonte che possiamo invece trovare nei nostri appartamenti: “l’acqua del sindaco” o più comunemente acqua del rubinetto, validissima sostituta della minerale in bottiglia.
Da alcuni anni sono partite in tutto il mondo delle campagne promozionali in favore del consumo dell’acqua dell’acquedotto avvalorati da ricerche scientifiche che ne evidenziano le pari o addirittura migliori caratteristiche di quelle in bottiglia. Alcuni studi sviluppati dall’ American Environemntal Health Center di Dallas hanno messo in luce alcuni rischi a cui il consumatore va incontro consumando l’acqua minerale nelle bottiglie di plastica Pet (polietilene-tereftalato): la plastica con cui le  bottiglie vengono prodotte è fatta per deteriorarsi più rapidamente della plastica comune e rilascia gradualmente nell’acqua particelle di ftalati (composti chimici che rendono la plastica più morbida) e che aumentano nell’esposizione al sole e a fonti di calore, tutto ciò a discapito della salute del consumatore. Dal 1978 ad oggi il consumo di acqua in bottiglia è aumentato del 2000%: in Italia agli inizi degli anni ’80 il consumo procapite era di 50 litri all’anno, oggi siamo arrivati a 190 litri con un costo di quasi 300 euro annui a famiglia contro il quasi gratuito dell’acqua del rubinetto.
Ciò che spinge una famiglia a consumare acqua minerale in bottiglia è la garanzia di un’ottima qualità che però è forse maggiormente garantita dall’acquedotto comunale: il  D.P.R. 236/1998 e i decreti legislativi 31/2001 e 27/2002 disciplinano in modo rigoroso i parametri chimici delle acque potabili ed impongono rigidissimi controlli sulla loro erogazione garantendo assoluta sicurezza per il consumatore. Dal 2007 è entrata in vigore la certificazione dell’acqua del rubinetto ovvero l’etichetta apposta sulla bolletta dove è possibile controllare personalmente la composizione chimica accertandosi che sia nei parametri decretati dalle leggi; l’acqua per essere considerata potabile “ non deve contenere microorganismi e parassiti, nè altre sostanze, in quantità o concentrazioni tali da rappresentare un potenziale pericolo per la salute umana ma non deve superare neanche determinati valori massimi di sostanze non propriamente nocive per la salute” (Amiacque s.r.l.) e questo i nostri acquedotti sono obbligati a garantirlo.
Insomma, sul fatto che l’acqua del rubinetto sia sicura per la nostra salute non c’è alcun dubbio ma questo a quanto pare non basta a convincere i consumatori che continuano ad acquistare al supermercato ciò che potrebbero avere a solo 1 euro ogni mille litri aprendo il rubinetto di casa. Il business del commercio delle acque minerali si aggira intorno ai 100 miliardi di dollari all’anno e comporta costi di produzione altissimi: ogni anno al mondo vengono prodotte 154 miliardi di bottiglie di plastica, di cui 7 miliardi in Italia, e questo necessita di un consumo di 81 milioni di litri di petrolio e 600 miliardi di litri di acqua (usati per produrre e vendere altra acqua!).
Ad aggravare questi dati già sufficientemente allarmanti si aggiungono i danni ambientali dovuti all’inquinamento: per produrre un chilo di plastica vengono rilasciati nell’aria 2,3 chili di anidride carbonica. Lo smaltimento delle bottiglie in PET accresce ancora di più l’inquinamento atmosferico: lo smaltimento della plastica richiede l’uso degli inceneritori che nessuno vorrebbe sotto casa proprio per le nocive emissioni di gas tossici prodotte durante le fasi di incenerimento del prodotto. Ma non è finita, le bottiglie devono anche raggiungere i supermercati per poi trovarsi sulla nostra tavola: per trasportare 10000 bottiglie di acqua un camion consuma circa 250 litri di gasolio per coprire andata e ritorno di un tragitto di circa 1000 km e che tendenzialmente aumenta se si considera che quasi il 75% dell’acqua venduta in un paese proviene dall’estero.
Quanto detto ci porta inevitabilmente a riflettere sull’impatto ambientale ed economico che l’acquisto delle acque minerali in bottiglia comporta e ci obbliga a riflettere su un’eventuale scelta diversa che diventa etica, in favore del risparmio, dell’ecologia e del rispetto dell’ambiente.

Quella parte di mondo dove l’acqua potabile è un lusso
Contraddizioni e privatizzazioni

L’acqua è un bene pubblico e questo significa che chiunque deve avere il diritto di poterne usufruire. L’acqua è un bene vitale ed insostituibile per ogni essere umano e per lo sviluppo e il mantenimento dell’ecosistema, possiamo quindi definirla patrimonio dell’umanità.
Considerato quindi che in quanto bene comune l’acqua risulta inevitabilmente appartenere a tutti gli abitanti della Terra, ci domandiamo: come mai quasi 1 miliardo e 400 milioni di persone al mondo non hanno accesso all’acqua potabile? Possiamo in parte già risponderci se riflettiamo sui dati relativi al business delle acque minerali in bottiglia che si aggira intorno ai 100 miliardi di dollari all’anno ed è in continua crescita.
Nei paesi in via di sviluppo e in quelli del terzo mondo si assiste alle cosiddette “guerre dell’acqua” che portano frequentemente alla privatizzazione e alla speculazione economica di un bene di prima necessità con la conseguente morte di coloro che non ne possono usufruire. Di questo importante tema si sta occupando un Comitato Internazionale (CICMA) che nel 1998 ha redatto il Contratto Mondiale sull’acqua che sancisce il diritto di ogni individuo indipendentemente da “razza, religione, sesso, reddito o classe sociale” ad accedere all’acqua.
É dunque compito e dovere etico della società lavorare ed organizzarsi perché ciò si realizzi ispirandosi ai principi di corresponsabilità e sussidiarietà. Le risorse idriche nel mondo sono distribuite inegualmente: il fenomeno a cui assistiamo mostra che paesi finanziariamente ricchi hanno accesso incondizionato all’acqua mentre quelli poveri economicamente risultano essere poveri anche del bene comune più importante. Quello che avviene è che l’acqua è nelle mani di chi può mercificarla e venderla a chi invece non può comprarla diventando così uno strumento di potere e di egemonia di alcune nazioni su altre.
L’obiettivo del Comitato Internazionale è quello di sensibilizzare attraverso massicce campagne informative la società mondiale sul tema “acqua per tutti” incondizionatamente: il Comitato dopo la stesura del Contratto Mondiale sull’acqua auspica alla creazione di un Osservatorio Mondiale per i diritti dell’acqua che consenta di “raccogliere, produrre, distribuire e diffondere le informazioni il più possibile rigorose ed affidabili in merito all''accesso all''acqua dal punto di vista dei diritti individuali e collettivi, alla produzione dell’acqua, all’uso, alla sua conservazio-ne/protezione e allo sviluppo democratico sostenibile”.
Garantire il libero accesso all’acqua è quindi una scelta etica a cui nessuna nazione dovrebbe sottrarsi: l’acqua è un “diritto fondamentale, inalienabile, individuale e collettivo” che non ci permette di chiudere gli occhi davanti ai milioni di persone che ancora oggi muoiono per l’impossibilità di accedervi.

Greta Montemaggi