Test sierologici in Italia, che gran confusione; strumenti di monitoraggio pandemico o elettorale?

Vi proponiamo uno sguardo complessivo sulla vicenda degli esami epidemiologici.

test sierologico

test sierologico

La questione dei test sierologici tiene banco ormai da qualche settimana e, ancora, non si riesce a venirne a capo. La colpa è della comunicazione frastagliata e caotica del Governo, che non è in grado di gestire in modo unitario nemmeno la delicata questione degli esami epidemiologici. Questi, infatti, consentirebbero di sapere quante persone hanno incontrato il virus e, da ciò, si potrebbe stabilire la reale letalità della malattia, la sua diffusione geografica e quella demografica in base all'età. Un passaggio fondamentale, dunque, se si vuole tornare alla vita di prima. Se, infatti, il tampone nasofaringeo è l’esame diagnostico che conferma la positività al Covid-19, il test sierologico è l’esame epidemiologico necessario per il monitoraggio della sua diffusione. Ne esistono di due tipi: quelli rapidi e quelli quantitativi. I primi - secondo quanto dicono gli esperti e altri numerosi articoli scientifici dedicati all'argomento -, con una goccia di sangue, stabiliscono se la persona ha prodotto anticorpi, mentre i secondi dosano in maniera specifica la quantità di anticorpi presenti nell'organismo. Stiamo parlando delle famose immunoglobuline IgM e quelle IgG. Lo sviluppo delle IgM avviene nella fase iniziale della malattia per poi diminuire, la loro presenza indica che l’infezione è appena passata e il virus potrebbe ancora essere presente. Se, invece, le analisi rilevano gli anticorpi IgG, che si sviluppano dopo una decina di giorni, vuol dire che si è formata una memoria immunitaria nell'organismo e che la persona non dovrebbe più infettarsi. Chiariamo, questo non significa che la presenza delle IgG coincide con l’assenza del virus e del pericolo di contagiosità. Ecco perché, in caso di test positivo, è necessario comunque eseguire anche il tampone nasofaringeo. Nonostante questo, tanti esperti sono d’accordo nel dichiarare che, ad oggi, nessuno dei test diagnostici ed epidemiologici per il coronavirus è accurato al 100% ed esiste il rischio di falsi positivi e negativi. Dunque, la patente d’immunità non esiste e nessuno si deve sentire al sicuro, nonostante i tamponi e i test sierologici. Finora, le uniche misure di sicurezza e di prevenzione efficaci sono le mascherine, i gel disinfettanti e il distanziamento sociale. 
Così, dall'insicurezza virologica passiamo a quella istituzionale. La polemica di questi ultimi giorni, infatti, monta per via di una mancanza di decisioni unitarie e di direttive univoche. Ognuno fa da sé. A livello regionale, la Liguria e l’Emilia-Romagna utilizzano i test della società statunitense Abbott, vincitrice del bando di gara nazionale per la fornitura di test sierologici. La Toscana usa quelli della Diesse Diagnostica Senese e ha iniziato a monitorare il personale sanitario, ma continuerà con i lavoratori che hanno prestato servizio anche dopo il lockdown di marzo. Essa collabora già con 61 laboratori privati a cui fornirà 250mila test sierologici per fare screening, comprendendo tutti quelli che vorranno riaprire le proprie attività. Il Veneto, invece, utilizza i test della Snibe Diagnostic, azienda cinese,  che sono commercializzati in Italia dalla Medical System di Genova. Nel Lazio, Nicola Zingaretti si è affidato a due sperimentazioni, quella dell’Università di Tor Vergata e quella dell’Istituto Spallanzani, questi hanno già fatto più di 40mila test iniziando dagli operatori sanitari. La Lombardia, infine, si affida ai test che Diasorin, azienda di Vercelli, ha sviluppato insieme all'ospedale San Matteo di Pavia. A questo proposito, è stata aperta un’indagine conoscitiva dalla procura di Milano sull'esposto della società concorrente, Techno Genetics, che accusa il sistema sanitario lombardo di non aver rispettato il principio di concorrenza nell'affidamento diretto dei test sierologici. Le polemiche, tuttavia, non mancano ed è serrato lo scambio di opinioni, a colpi di video sui social, tra il sindaco Milanese Giuseppe Sala e l’assessore al Welfare della Lombardia, Giulio Gallera. Così come il capoluogo lombardo, anche altri Comuni del milanese hanno deciso di mettersi in proprio. Insomma, la confusione regna sovrana, tra chi vorrebbe fare screening di massa e chi predica calma e prudenza per evitare individualismi e salti in avanti. Il tutto, purtroppo, sembra ridursi ancora una volta a una partita politica che guarda a questi strumenti epidemiologici come fossero mezzi di propaganda elettorale. Fortunatamente, però, tutti quanti concordano sull'urgenza di fare quanti più esami possibili e di dedicarli, in primo luogo, agli operatori sanitari, ai dipendenti pubblici e alle forze dell’ordine. Insomma, a tutte quelle persone che, finora, hanno continuato a svolgere le proprie mansioni nonostante il rischio molto alto di essere contagiate. 
Federico Capella