Coronavirus, il grido d'allarme della polizia Penitenziaria: «Siamo al collasso»

Il sindacato: «Ci viene richiesto di lavorare senza mascherine per non allarmare i detenuti e di continuare a prestare servizio anche se si è venuti a contatto con persone contagiate»

«La Polizia Penitenziaria è stremata. Non ce la fa più. Solo in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, dove i turni di lavoro sono anche di 20 ore consecutive, i colleghi contagiati, ad oggi, sono 30 (una cinquantina in tutta Italia) e oltre una decina i detenuti positivi». A parlare è il segretario generale del  Sindacato di Polizia Penitenziaria, Aldo Di Giacomo, che denuncia una situazione paradossale. «Il lavoro degli agenti continua a svolgersi senza mascherina perché i direttori lo “impongono” per evitare, dicono, di creare ulteriore allarmismo nella popolazione carceraria». Secondo Di Giacomo ormai gli agenti di polizia Penitenziaria sono poco più che “carne da macello”: «la testimonianza più evidente di questo stato di cose è la circolare del Capo del Dipartimento, Dott. Francesco Basentini, nella quale, in un passaggio, testualmente riporta “…nella prospettiva di salvaguardare l’ordine e la sicurezza pubblica collettiva, si ritiene che gli operatori di Polizia Penitenziaria in servizio presso le strutture penitenziarie, in quanto operatori pubblici essenziali, debbono continuare a prestare servizio anche nel caso in cui abbiano avuto contatti con persone contagiate o che si sospetti siano state contagiate. Evitando ogni contatto con i detenuti…”». È notizia di oggi (18 marzo) che l’ASL di Milano provvederà ad effettuare 50 tamponi ad agenti  che sono stati in contatto con detenuti o con colleghi infettati, su un totale di 180 tamponi nell’arco di 3 giorni. «Nonostante questa situazione allarmante –continua il segretario – con il sacrificio degli uomini e delle donne in divisa stiamo riuscendo ad assicurare un servizio che, come riprovano le violente rivolte dei giorni scorsi, è soprattutto un servizio ai cittadini per garantire sicurezza. Qualcuno si illude che nelle carceri sia tornata la calma: non appena ci saranno casi di detenuti e/o poliziotti penitenziari infetti di cui la popolazione detenuta ne verrà a conoscenza, il panico creerà situazioni catastrofiche».
Redazione Web

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