L’amato Don Pier e il suo ultimo viaggio...

«Due volte all’anno organizzava due viaggi per gli adulti, in primavera e in autunno. Le chiamavamo “gite pellegrinaggio”, perché univano l’utile al dilettevole. Sono andata a iscrivermi al viaggio a Fatima dicendo: quello che non ho fatto da papera lo faccio da oca. Lui mi fece ripetere quella frase in dialetto più volte, gli piaceva. Da lì ho iniziato a conoscerlo, ma sul pullman per Roma è nata la nostra amicizia; io dovevo stare davanti e così eravamo sempre insieme. Quando veniva in giro era come il Signore sceso tra il popolo, era uno di noi, si poteva parlare in dialetto, scherzare e fare ciò che si voleva. Da lì ho detto: non ne perderò più una».14 BRUNA Poi, la Terra Santa sulle orme di Mosè. «Mi disse: Bruna, facciamo una fuga nel deserto! Ha scattato una foto e me l’ha regalata. E a Lourdes in pullman, quanto ridere! Quando si pregava, si pregava ma a tavola… una tavolata immensa. Lui mangiava, aveva sempre fame ed era goloso. Mi diceva: Bruna, non mi hanno dato il dolce… l’aveva semplicemente nascosto, ma io gli davo il mio! Quante volte gli dicevo di stare attento, e lui: Bruna, non mi sono sposato per non avere la suocera». Organizzava i viaggi con passione, tornava e subito pensava al prossimo. «La costiera amalfitana è stato l’ultimo viaggio insieme al mio Don. Ci disse: vi porto in un santuario speciale, il santuario della golargia… era una pasticceria! Amava mangiare, io portavo sempre con me i biscotti secchi, ogni tanto ne chiedeva uno. I dolci da cucchiaio erano i suoi prediletti. Quando non sono stata bene, da Torino mi ha portato il foulard con la Sindone e dalla Russia una matriosca. E quante merende nel salone, suonava la chitarra, cantava e offriva la torta a tutti. Dicevamo tante stupidaggini divertenti. Gli dicevo che ero stufa di stare al mondo e poi se pensavo alle stupidaggini che dicevo, lui mi sgridava: le stupidate non sono un peccato, bisogna dirle, è un peccato dire quella cosa lì! Ogni tanto si lamentava del mal di stomaco e io: Don, il suo Milan proprio non l’aiuta… diventava matto per il Milan. Ho preso un bambolino, gli ho fatto il completino di Kakà e l’ho appeso alla sua porta di casa con zucca e biscotti. Quanto l’ha gradito! A lui nessuno ha regalato niente, quello che si è fatto per lui è perché lo ha meritato… ha lasciato ricordi indelebili. Ha unito il gruppo. Parlava sempre di Gesù, le sue omelie erano parabole. Dissi a sua mamma: grazie per il bene prezioso che sta dividendo con noi e lei mi rispose: vogliategli bene. Non si poteva non volergli bene. Il bene lui lo tirava fuori, era troppo buono. Lui era uno grande, troppo prezioso, insostituibile».

Alice Ranaudo

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