Milano, la mamma giustifica la figlia che non ha studiato
Siamo tutti sopravvissuti alla scuola nonostante le moli di lavoro fossero ben più consistenti, perché ora i compiti non sono più tollerati?
06 ottobre 2016
All’urlo di «basta compiti!» avanzano i genitori "progressisti"
Si susseguono i casi di genitori che decidono di difendere i figli dai carichi di lavoro assegnati dalle scuole. L’ultimo episodio in ordine di tempo è accaduto a Milano, dove una mamma ha giustificato la propria figlia per non aver svolto i compiti. Tale giustifica non riporta “scuse”, è piuttosto uno sfogo, un attacco nei confronti della decisione di assegnare compiti a casa. La mamma (Anna Santoiemma) non si è fermata lì, ha poi pubblicato la suddetta lettera su Facebook, rendendola così pubblica: «Gentili maestre – si legge sulla pagina di diario - Mariasole non ha potuto studiare storia perché dopo 8 ore di scuola, dalle 17 alle 19.30 ha dedicato il suo tempo libero restante ad attività ricreative e sportive». Sui social ha poi rincarato la dose di protesta, che da "velata" è divenuta tranciante scrivendo: «Basta compiti e basta torturare questi bambini dopo che passano otto ore seduti sui banchi». Quando lo sfogo ha fatto il giro del web, ovviamente ha provocato diverse reazioni. C’è chi sostiene il pensiero “progressista” di Anna, ma altri non sono per nulla d’accordo.
Vista la veemenza delle critiche ai compiti, ci si poteva immaginare un carico di lavoro insostenibile. Eppure la giustificazione è stata scritta proprio nella pagina di diario in cui la bambina ha segnato i compiti, nella quale si legge: «Storia, studiare sul quaderno, leggere sul sussidiario pagina 10». Far apparire la lettura di una pagina come “impossibile” pare esagerato. Inoltre, decidere di assumere un atteggiamento di sfida alla scuola non si potrà sicuramente rivelare educativo per la bambina. Il problema però, è di maggiore rilevanza di quanto si pensi. Infatti questo non è un caso isolato (basti pensare al papà di Varese che protestò contro i compiti estivi).
Sempre più si assiste a uno scontro tra genitori e insegnanti. I primi sembrano quasi aver dimenticato com’era la scuola ai loro tempi (e sicuramente era più severa di adesso) mentre i secondi, che stanno cercando di rispondere alle nuove esigenze “impoverendo” (volenti o nolenti) l’offerta formativa, sembra che risiedano perennemente nel torto: Se un bambino prende 5 non sarà mai colpa sua, non si obbligherà a restare fisso sui libri finché non avrà colmato le lacune, piuttosto si criticherà la decisione del maestro/a; Se un bambino fa il bischero prendendo una nota, sarà più probabile che avvenga un incontro con l’insegnante piuttosto che metterlo in castigo; Se vengono assegnati uno o più libri da leggere si criticherà la decisione perché sono titoli impegnativi per l’età, o perché i bambini non hanno tempo (e su questo tema bisognerebbe aprire un capitolo a parte); Se si assegna una pagina da leggere per il giorno dopo viene vista come una punizione, e non come parte integrante del processo di crescita scolastica e intellettuale; Nelle materie culturali gli argomenti che una volta si studiavano alle medie ora si sono trasferiti alle superiori, e i temi assegnati in prima media una volta erano relegati alla terza elementare.
Da quando i compiti sono così criticati? Da quando i genitori giustificano i figli che non mettono in primo piano lo studio? Siamo tutti sopravvissuti nonostante le moli di lavoro fossero ben più consistenti, perché ora non può più essere tollerabile? L’affermarsi di un modello genitoriale più permissivo a livello scolastico porterà dei benefici? Certo, non si sta dicendo che la severità dei vecchi tempi sia la strada migliore da perseguire, ma almeno che si trovi una mediazione, perché così il mondo pare essersi davvero capovolto. Un mondo dove sembra maggiormente “normale” dilettarsi con Pokemon Go, piuttosto che studiare il capitolo di storia sulla Rivoluzione Francese.
06 ottobre 2016