«Arrendersi o perire!» fu la parola d'ordine che mise fine a vent'anni di dittatura fascista e a cinque anni di guerra che da «guerra contro lo straniero» si era trasformata in «guerra civile»

La storica Petra Di Laghi illustra come la Resistenza si presentò eterogenea all’appuntamento con la storia, e come i piccoli gesti quotidiani di tutti gli italiani contribuirono a sfiancare le truppe di occupazione

Sandro Pertini quando proclamò lo sciopero generale

Sandro Pertini quando proclamò lo sciopero generale Milano, 25 Aprile 1945

«Il governo italiano, riconosciuta l'impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza».

Con queste parole, l’8 settembre 1943 il maresciallo Pietro Badoglio, allora capo del governo, alle ore 19.42 annunciava dal microfono dell’EIAR (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche) l'entrata in vigore dell'armistizio di Cassibile, firmato cinque giorni prima con gli anglo-americani. Parole confuse e ambigue che gettano un’intera nazione nel caos. L’esercito è allo sbando e non sa più cosa deve fare o da quali “eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza” difendersi. Deve arrendersi o continuare a combattere? Con la firma dell’armistizio l’Italia aveva cambiato schieramento, ma non era diventata “alleata” degli angloamericani, rimaneva soltanto una loro «cobelligerante». Avrebbe potuto far la guerra insieme con loro contro i tedeschi, ma per gli inglesi rimaneva pur sempre un nemico da punire, «come dire in attesa di essere riabilitata o meno» (Viola, Torino 2000, p. 223).

Si apriva così una delle pagine più confuse e controverse della storia italiana. Il regime era scomparso, l’esercito al collasso e il re e il governo erano scappati al Sud, sotto la protezione delle truppe angloamericane. Un paese allo sbando e nuovamente diviso. Mentre l’esercito degli Alleati in quei giorni era sbarcato a Salerno e stava occupando l'Italia meridionale, le truppe tedesche avevano preso possesso dell’Italia del Nord, instaurandovi il nuovo governo della Repubblica Sociale Italiana di Benito Mussolini, liberato nel frattempo dalla prigionia del Gran sasso in Abruzzo.

Fu in questo clima di marasma generale di autorità pubbliche, politiche e statuali che iniziarono a costituirsi gruppi armati di studenti, operai e militari che abbandonarono i loro reparti per opporsi ai fascisti e ai tedeschi e costituire un fronte comune, quello della Resistenza.

Dall’autunno del 1943 all’estate del 1944, il movimento della Resistenza cresce di dimensioni e passa da 9.000 a 80.000-100.000 membri dandosi anche un coordinamento politico generale, espresso dal Comitato di liberazione nazionale Alta Italia (Clnai).

All’interno delle formazioni partigiane si esprimono diverse componenti politiche riconducibili principalmente a sette partiti che si sono costituiti (o ricostituiti) dopo la caduta del fascismo: il Partito d'Azione (PdA), Democrazia cristiana (Dc), Partito socialista italiano di unità proletaria (Psiup), del Partito repubblicano italiano (Pri), del Partito liberale italiano (Pli), del Partito democratico del lavoro (Pdl), un piccolo gruppo politico fondato ex novo da Ivanoe Bonomi e del Partito comunista italiano (Pci). Sono divisioni politiche e di ideali che dividono le diverse formazioni di resistenti. I partigiani attratti da ideali comunisti iniziano a militare nelle file delle “Brigate Garibaldi”, mentre i partigiani dalle simpatie socialiste combattono nelle “Brigate Matteotti”.

Affianco ad esse, a combattere il nemico nazifascista vi furono però altre e diverse realtà.

Sin dall’agosto 1943, ad esempio, sbarcarono con l’esercito britannico le Compagnie ebraiche che a partire da a Salerno, Napoli, Bari e Taranto svolsero azioni di soccorso alla popolazione provata dalla guerra, seguendo il percorso delle operazioni militari dei soldati angloamericani, diretti verso il Nord Italia. Quasi 30.000 ebrei che ebbero un ruolo decisivo nella riapertura del Tempio e delle scuole ebraiche dopo la liberazione di Roma.  Nel settembre 1944 venne istituita dal governo britannico la Brigata Ebraica combattente, una formazione militare indipendente dall’esercito, avente bandiera e emblema proprio. Fra le file della Brigata vennero arruolati 5.000 volontari, addestrati a Fiuggi e successivamente trasferiti sul Senio nei pressi di Ravenna, dove, nell'aprile del 1945 combatterono contro i nazisti guadagnando il passaggio del fiume.

Nelle zone del Piemonte e altrove alcune unità dell’esercito italiano invece si diedero, con i loro ufficiali, alla guerriglia e combattendo il nemico tedesco come partigiani «autonomi», dichiaratamente apolitici, per far conservare all’esercito italiano un onore.

Per questa varietà di linee di pensiero e azione, l’esperienza resistenziale italiana ebbe caratteristiche ed evoluzioni proprie completamente diverse da altre realtà attive in altre parti d’Europa.

Ruolo non meno importante della cosiddetta Resistenza “rossa”, e anzi complementare ad essa, fu la Resistenza “bianca” dei partigiani cattolici. Guidati dall’inno alla non violenza, la preghiera del Ribelle, di Teresio Olivelli, i «ribelli per amore» ingaggiarono una stregua lotta contro il nemico tedesco soprattutto in Veneto, in Lombardia, in Emilia dove si costituirono le Brigate Fiamme Verdi organizzate come gli alpini, dai quali avevano mutuato le mostrine. I partigiani “bianchi” cristiani ebbero poi un ruolo decisivo nella liberazione di molte città, come ad esempio Parma.

 

«Signore, che fra gli uomini drizzasti la Tua Croce segno di contraddizione,

che predicasti e soffristi la rivolta dello spirito contro le perfidie e gli interessi dominanti, la sordità inerte della massa,

[…] Signore della pace e degli eserciti, Signore che porti la spada e la gioia, ascolta la preghiera di noi ribelli per amore» (Preghiera del Ribelle).

 

Le divisioni interne al movimento resistenziale in alcuni casi si espressero anche in scontri drammatici fra le stesse formazioni partigiane, come avvenne nel Friuli fra i partigiani comunisti e i partigiani cattolici. Qui le divisioni della rossa Brigata Garibaldi uccisero fra il 7 e il 18 febbraio 1945, diciassette partigiani della Brigata Osoppo, formazione di orientamento cattolico e laico-socialista, nei boschi di Porzus, nelle pressi di Udine.

All’appuntamento con la Liberazione la Resistenza italiana si presenterà dunque così eterogenea e a contare forse non fu tanto l’impegno della lotta di scontri politici, «molto di più fu, caso mai, la resistenza con la erre minuscola, cioè quella, quotidiana e passiva, fatta di piccoli e grandi sacrifici, di pazienza e di «arrangiamenti» e anche di malizie e doppi giuochi che gl’Italiani opposero, per sopravvivere, a tutto e a tutti».

Questo era dunque il vasto quadro eterogeneo di forze che per la libertà dei popoli combatterono per il riscatto dell’Italia, quando Sandro Pertini il 25 aprile 1945 proclamò da Milano l'insurrezione generale in tutti i territori ancora occupati dai nazifascisti con il messaggio:

 

«Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l'occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire.»

 

«Arrendersi o perire!» fu la parola d'ordine che mise fine a vent'anni di dittatura fascista e a cinque anni di guerra che da «guerra contro lo straniero» si era trasformata in «guerra civile».

Petra Di Laghi