Racket dell’accattonaggio a Milano: cinque condanne per schiavitù

Gli imputati sono tutti nomadi romeni, che avevano portato in Italia alcuni connazionali con la promessa di un lavoro stabile, salvo poi costringerli a mendicare con la forza

Nei mesi scorsi già condannate altre cinque persone

Martedì 5 luglio si è chiuso a Milano il processo a carico di cinque nomadi di origine romena accusati di associazione a delinquere finalizzata alla tratta di schiavi e alla riduzione in schiavitù. Per gli imputati il gup Teresa De Pascale ha disposto condanne a pene comprese tra un massimo di 11 anni e un minimo di 6 anni e 8 mesi arrivate al termine del processo in abbreviato e perciò calcolate con lo sconto di un terzo della pena. Si tratta della seconda tranche dell'inchiesta culminata nel novembre del 2014 con 14 ordinanze di custodia cautelare eseguite dalla polizia Locale di Milano. Protagonisti della vicenda due clan di rom che reclutavano i propri connazionali direttamente in Romania e li portavano a Milano con la falsa promessa di un lavoro stabile. Le vittime, spesso con una serie di menomazioni fisiche, erano poi costrette a mendicare per le strade della città per poi essere sottoposte a violenze e sevizie se il guadagno della giornata non avesse raggiunto almeno i 30 euro. In particolare, gli investigatori della polizia Locale avevano raccolto anche testimonianze video che documentavano le vessazioni a cui erano sottoposti i mendicanti. Una vera e propria gallina dalle uova d'oro, che avrebbe generato a favore dei neo-schivisti profitti illeciti dell'ordine di decine di migliaia di euro. Il primo processo a carico dei primi imputati si era chiuso nel novembre scorso con cinque condanne fino a un massimo di 10 anni e 8 mesi. Per gli altri, che al momento degli arresti erano latitanti in Romania e che sono stati estradati in Italia soltanto in una fase successiva, la sentenza è arrivata il 5 luglio. Il pm Piero Basilone, che ha coordinato le indagini, ha accertato l'esistenza di una "compravendita" degli accattoni che, proprio come schiavi, in più di un caso sarebbero stati ceduti da un clan all'altro per denaro.
Redazione Web