Leoncavallo, sgombro rinviato per la 131esima volta: da occupazione abusiva a concessione comunale? Rocca (FdI): «uno schiaffo ai milanesi perbene»

Il Comune di Milano pronto a cedere un capannone pubblico agli occupanti storici del centro sociale. Intanto, commercianti e imprenditori continuano a pagare tasse e rispettare regolamenti

La notifica di sfratto consegnata a Marina Boer, presidente dell'Associazione Mamme antifasciste del Leoncavallo alla presenza dei legali della proprietà dell'area (foto Mianews)

Milano si prepara all’ennesimo capitolo di una vicenda che ha dell’incredibile. Dopo 50 anni di occupazioni abusive, centinaia di tentativi di sgombero falliti e decenni di attività svolte in totale spregio delle regole, il Leoncavallo potrebbe finalmente ottenere ciò che nessun altro operatore commerciale o associazione riuscirebbe a ottenere: una sede comunale in concessione d’uso.

Lo sgombero della storica sede di via Watteau, previsto per oggi, è stato rinviato per la 131esima volta, e nel frattempo Palazzo Marino pare pronto a regalare una nuova casa al centro sociale, trasferendolo in un immobile di proprietà pubblica in via San Dionigi, nella zona di Porto di Mare.

Una legalizzazione di fatto di un'occupazione abusiva

Il trasferimento del Leoncavallo non è una semplice ricollocazione, ma un evidente tentativo di legalizzare una realtà che da sempre ha fatto affari senza rispettare alcuna regola. Per anni, il centro sociale ha organizzato concerti, eventi, serate, generando un giro d’affari mai realmente regolamentato efficacemente o soggetto ai controlli fiscali e amministrativi imposti invece a qualsiasi altra attività imprenditoriale della città.

Dietro questa battaglia per ottenere un riconoscimento ufficiale da parte del Comune, infatti, si cela un notevole giro di denaro che sfugge molto probabilmente al fisco, legato ai numerosi eventi organizzati nello spazio occupato. Concerti, dj set, feste, serate a pagamento: un business che negli anni avrebbe generato incassi senza alcun controllo tributario, sanitario o amministrativo, mentre gli imprenditori onesti del settore dell’intrattenimento sono costretti a rispettare le normative vigenti e a versare imposte e contributi.

Non si tratta solo di un problema di legalità, ma anche di una evidente concorrenza sleale: mentre i locali notturni, i club, i bar e i teatri della città devono pagare affitti, tasse, SIAE, licenze e rispettare le normative di sicurezza, al Leoncavallo tutto questo è un'incognita. Il risultato? Un circuito parallelo che toglie clienti e risorse agli operatori regolari, falsando il mercato e danneggiando chi segue le regole.

Di fronte a questa situazione, le reazioni indignate non sono mancate. Francesco Rocca, consigliere comunale di Fratelli d’Italia, ha espresso un’opinione netta: «Circola l'assurda ipotesi di trasferire e quindi legalizzare il Leoncavallo in un capannone di proprietà del Comune di Milano a Porto di Mare, in mezzo a due grandi parchi, il Cassinis e quello della Vettabbia, a pochi metri dall'Abbazia di Chiaravalle e dal suo borgo; un'area che necessita maggior protezione e valorizzazione data la vocazione storica, culturale ed ambientale. Il centro sociale che da anni organizza concerti e feste, porterebbe un'enorme quantità di persone e di nuovo degrado. Premiare una realtà abusiva che da oltre 50 anni fa business, fregandosene delle regole e delle procedure, dei regolamenti e dei bandi, è uno schiaffo ai milanesi perbene».

Dello stesso avviso è Romano La Russa, assessore regionale alla Sicurezza, che ha parlato senza mezzi termini di una “svendita della legalità”:

«Oggi l’ennesima figuraccia delle istituzioni. Per la 131esima volta ha vinto l’illegalità, un segnale non più tollerabile. Sento ormai parlare con chiarezza di un imminente favoritismo nei confronti delle sedicenti 'mamme antifasciste del Leoncavallo', oggi certamente già nonne, che hanno adocchiato un capannone comunale nel quartiere Porto di Mare. Non si capisce per quale motivo, se non per un favore politico, il Comune debba concederglielo in comodato d’uso».

Chi rispetta le regole viene beffato

L’ipotesi di questa concessione d’uso è un autentico insulto a tutti quei cittadini e imprenditori che ogni giorno devono confrontarsi con burocrazia, regolamenti e tasse. A Milano, un ristoratore o un commerciante deve affrontare permessi, certificazioni, controlli sanitari e tributari per poter operare. Eppure, il Leoncavallo, dopo mezzo secolo di occupazione, potrebbe godere di una sede comunale senza passare attraverso alcun bando pubblico e senza alcuna evidenza di un contributo economico alla città.

Il paradosso si fa ancora più evidente se si considera che l’immobile in via San Dionigi è attualmente inagibile e necessita di interventi di riqualificazione. Chi pagherà per questi lavori? È plausibile che siano i cittadini milanesi, attraverso fondi pubblici, a finanziare l’ennesimo regalo a chi per decenni ha fatto dell’illegalità una bandiera?

Il Comune si piega alle richieste del Leoncavallo?

Nel frattempo, da parte degli occupanti non c’è alcuna ammissione di irregolarità, ma piuttosto la pretesa di un riconoscimento istituzionale. Marina Boer, presidente dell’Associazione Mamme Antifasciste del Leoncavallo, ha dichiarato:

«Abbiamo presentato questa manifestazione di interesse per dimostrare che auspichiamo che ci sia ancora una volta un raffronto tra quello che proponiamo, abbiamo fatto e vogliamo fare, e il resto della città. E che questo venga riconosciuto».

E ancora, con una dichiarazione che rasenta la provocazione:

«L’aspettativa è che venga riconosciuto il valore di questo posto, abbastanza innegabile. Non c’è un altro posto in Italia che ha la storia del Leoncavallo, e il valore delle cose che sono state fatte qui dentro».

Ma di quale valore si parla? Quello di un’attività che per mezzo secolo ha operato senza rispettare normative urbanistiche, fiscali e sanitarie? O quello di un centro che ha sempre evitato di sottoporsi alle regole imposte a qualsiasi altra realtà milanese?

Un modello da replicare?

Se il Comune di Milano porterà avanti questo piano, il messaggio sarà chiaro: occupare un immobile abusivamente, rifiutare di rispettare leggi e regolamenti, significa essere premiati con una nuova sede pubblica.

Se questa è la direzione che l’amministrazione comunale intende prendere, allora è lecito chiedersi se questo modello sarà replicabile. Perché allora non concedere in comodato d’uso anche altri immobili comunali a tutti quei commercianti e operatori economici che oggi faticano a sopravvivere tra tasse e adempimenti burocratici?

La vicenda Leoncavallo non è solo una questione urbanistica, ma un simbolo di come a Milano si stia abdicando al principio di legalità, premiando chi infrange le regole e penalizzando chi le rispetta. Però a Milano è vietato fumare per strada.....

Giulio Carnevale