Milano: se il patriarcato è islamico, le istituzioni tacciono, la sinistra si inginocchia, le femministe ignorano e la stampa progressista minimizza

Donne nel recinto, diritti civili assenti: come se le musulmane fossero un’eccezione alla regola dell’emancipazione, come se non avessero il diritto alla stessa libertà delle altre

Le donne nel

Le donne nel "recinto" durante il rito dell’Ashura

Non è questa la città aperta, moderna e inclusiva che vogliamo

Nel fine settimana appena trascorso, a Milano, si è svolta la celebrazione dell’Ashura, una delle ricorrenze più importanti per l’islam sciita. Una manifestazione autorizzata, con circa 1.300 partecipanti in corteo da Piazza della Repubblica a Stazione Centrale. Fin qui, nulla di nuovo. Ma le immagini che arrivano dalla manifestazione raccontano ben altro: donne velate, rigorosamente separate dagli uomini, confinate dietro un telo nero, divise da nastri e controllate da addette alla “sorveglianza femminile”.

Una scena che ha indignato tanti e fatto voltare lo sguardo altrove a molti altri. Perché quando la discriminazione viene imbellettata da "tradizione religiosa", in troppi tacciono. E fra questi, ancora una volta, tacciono gli esponenti della  sinistr, e le femministe. Queste ultime sono le stesse che si fanno sentire – giustamente – per una pubblicità sessista o per un linguaggio patriarcale in televisione. Le stesse che gridano allo scandalo se un politico maschio interrompe una collega in aula. Ma che si ammutoliscono quando la sottomissione femminile si esprime attraverso veli, recinzioni, divieti, purché il tutto venga da una cultura «altro». La sinistra sempre in prima fila a rivendicare i diritti civili, anche dove sono garantiti, non muove una critica a questa barbaria.

Due pesi e due misure
Il femminismo militante progressista, quello che si professa intersezionale, mostra per l’ennesima volta tutta la sua ipocrisia: se il patriarcato ha radice cristiana o occidentale, lo combattono con forza e clamore. Se invece ha origine islamica o mediorientale, improvvisamente il silenzio cala come un velo. Anzi, viene quasi giustificato, accettato, protetto. Come se le donne musulmane fossero un’eccezione alla regola dell’emancipazione, come se non avessero il diritto alla stessa libertà delle altre.

Questa non è tolleranza. È codardia
Chi difende la separazione di genere nel nome della “diversità culturale” sta contribuendo alla legittimazione di pratiche oppressive. Milano non è Teheran, e non dovrebbe neppure somigliarle. Ma sabato, sotto gli occhi di tutti, la nostra città si è trasformata per qualche ora in un teatro di segregazione pubblica. Un segnale grave, che avrebbe meritato ben altra reazione da chi si dice impegnato nella lotta contro ogni discriminazione.

E il mondo politico? Complice nel silenzio
A parte qualche voce di centrodestra, a denunciare l’inaccettabile separazione delle donne, il centrosinistra ha preferito non esporsi. Il Viminale ha autorizzato il corteo, la Questura ha vigilato senza intervenire, e nessuna figura istituzionale ha avuto il coraggio di dire apertamente che una cosa del genere, in una democrazia, è semplicemente inaccettabile. Il sindaco di Milano in prima fila a guidare la congiura del silenzio.

Una stampa a due velocità
Non meno grave è l’atteggiamento della stampa progressista, che in altri contesti si mostra sempre pronta a mobilitarsi in nome dei diritti civili, spesso anche quando questi non sono realmente minacciati. Eppure, di fronte a una vera e propria barbarie pubblica, come la segregazione fisica delle donne in pieno centro a Milano, si rifugia nel silenzio o, peggio, minimizza. Nessun editoriale d'indignazione, nessuna apertura in prima pagina. Solo trafiletti, resoconti burocratici, qualche cronaca che liquida il fatto come semplice “processione religiosa”. È il doppio standard dell’indignazione selettiva: accesa e militante quando a violare la sensibilità progressista è un politico occidentale, improvvisamente cauta e disinteressata quando la discriminazione proviene da pratiche religiose che si preferisce non criticare per non urtare l’ideologia multiculturale. Ma la verità è una sola: non c’è emancipazione se ci si gira dall’altra parte quando le donne vengono relegate dietro un nastro nero. Anche la stampa, se non ha il coraggio di chiamare le cose con il loro nome, diventa complice.

Il diritto alla fede non può violare i diritti fondamentali
Nessuno nega il diritto a professare la propria religione. Ma quando questo diritto si esercita nello spazio pubblico in forme che escludono, dividono e sottomettono, allora cessa di essere un fatto privato. Diventa un problema civile, politico, culturale. E allora sì: riguarda tutti. Perché accettare senza fiatare l’isolamento delle donne sotto un telo nero, in pieno centro a Milano, non è pluralismo. È resa.

Non possiamo più permetterci di tacere
Milano deve scegliere da che parte stare: dalla parte di chi costruisce convivenza nel rispetto reciproco, oppure dalla parte di chi, nel nome di un multiculturalismo malinteso, chiude gli occhi di fronte a pratiche sessiste. Il rispetto per le culture altrui non può significare il sacrificio dei diritti delle donne. E se le femministe di sinistra continueranno a inginocchiarsi ogni volta che il patriarcato indossa il turbante, perderanno ogni credibilità nella lotta per l’emancipazione.

Per questo, condanniamo con forza la modalità in cui si è celebrata l’Ashura a Milano. Perché non è questa la città aperta, moderna e inclusiva che vogliamo. E perché le donne non si dividono, non si nascondono e non si recintano. Mai. In nessun nome.
Giulio Carnevale