Ricordando Andrea De Nando, l'angelo biondo di Peschiera Borromeo, a un anno dalla tragedia

Ad un anno dalla morte di Andrea, la mamma impegnata nel sociale e nella battaglia per il riconoscimento dell'omicidio stradale

«Il dolore non passa, si impara solo a conviverci». Queste poche parole esprimono e racchiudono in sé i sentimenti e la sofferenza che accompagnano Elisabetta Cipollone dal 29 gennaio 2011. Esattamente un anno fa, la tragica scomparsa del figlio Andrea De Nando, a Peschiera Borromeo, ha segnato la vita della signora  Elisabetta e della sua famiglia. Una morte ingiusta, prematura e violenta, che ha portato via «quell’angelo biondo», come ama ricordarlo Elisabetta, da tutti coloro che lo amavano. Ogni morte, a ben vedere, è ingiusta, ma quando sopraggiunge a sedici anni non si riesce davvero a darle un senso. Tutti i giorni Elisabetta, con forza e determinazione, combatte invece per trovare un significato a questa insensata morte: «Oggi, a distanza di un anno, mi sento perfettamente lucida per affrontare le mie battaglie. Sto lottando perché l’omicidio stradale venga riconosciuto come reato e venga approvata la legge che lo sancisce. A quel punto, quando vedrò la legge applicata e attiva, la morte di Andrea non sarà stata inutile» spiega la signora Elisabetta. L’iter giuridico, a oggi, ha previsto due udienze e la richiesta di patteggiamento da parte del responsabile dell’incidente. La signora Elisabetta chiarisce: «Dal punto di vista penale siamo ancora in alto mare. L’omicida di mio figlio ha chiesto il patteggiamento e probabilmente lo otterrà, non mi aspetto niente di diverso, purtroppo. La battaglia che sto portando avanti è per dare dignità e valore alla vita umana: se sei colpevole di avere tolto la vita a qualcuno è giusto che tu paghi. In Italia reati meno gravi per la persona, come quelli contro il patrimonio, prevedono la detenzione. L’anomalia sta nel fatto che chi ammazza i nostri figli sulle strade, si trovi invece fuori dal carcere». Parallelamente alla battaglia legale, la signora Elisabetta si è attivata socialmente, prodigandosi per la costruzione di tre pozzi di acqua potabile in Etiopia: «L’acqua rappresenta la vita e stiamo aiutando uno dei Paesi più poveri del mondo nella quotidiana lotta alla sopravvivenza. In questo momento stiamo proseguendo la raccolta fondi, che probabilmente porterà all’apertura di un quarto pozzo e alla realizzazione di una cisterna per l’irrigazione di un campo agricolo». L’impegno dedicato a queste cause aiuta la signora Elisabetta a dare un senso al dolore ma, anche se pare scontato dirlo, nulla lo può cancellare: «Il dolore c’è sempre, tutti i giorni. Mio figlio vale tutta la sofferenza che sto vivendo e che continuerò a vivere».

Greta Montemaggi