L'impresa del peschierese Massimo Cavenago: staffetta di 130 km da Gressoney a Courmayeur con una protesi come gamba |Video|

Cinque atleti disabili, sfidano la montagna e in cinque giorni, percorrono 12.000 metri di dislivello positivo, per lanciare un messaggio: un amputato può tornare a fare tutto

Ci sono imprese che vengono definite dagl’uomini. Imprese che nascono da una semplice telefonata tra persone che non si sono mai viste ma che condividono un obiettivo comune. Lo scorso 15 settembre si è concluso il TOT DRET (“tutto dritto” in dialetto valdostano), a cui cinque atleti con disabilità da tutta Italia, soprannominati i Cinque Giganti, hanno partecipato percorrendo una staffetta di 130 kilometri, con 12.000 metri di dislivello positivo, da Gressoney a Courmayeur. Francis Desandrè, Lino Cianciotto, Fabienne Sava Pelosse, Moreno Pesce e Massimo Cavenago, tutti e cinque portatori di protesi, sono stati i partecipanti al progetto “Gamba in spalla”, che mira all’inclusione dei disabili alle gare di montagna. «A febbraio mi chiama Francis – spiega il peschierese Massimo Cavenago – e mi parla di questo progetto, del suo perché. Io non l’ho neanche fatto finire, avevo già deciso di accettare. Per noi disabili i sentieri di montagna e le gare sono preclusi, non c’è nessuna federazione di corsa montana o camminata sportiva». Così da martedì 11 a venerdì 15 settembre, la “Squadra dei Giganti”, composta oltre che dagli atleti anche da un gruppo di accompagnatori locali (circa venticinque persone in tutto), ha attraversato ben dieci colli tra i 2000 e i 3000 metri di altezza, passandosi un testimone particolare: un galletto che, nota divertente, era una galletta tanto che durante la staffetta ha deposto un uovo, poi diventato proprio un simbolo della corsa. «Questa staffetta – sottolinea Massimo - è nata proprio per dimostrare che, seppur la montagna sia una sfida impegnativa per i portatori di protesi, con la giusta volontà si può superare. Anche io che mi alleno costantemente, vado in bicicletta e faccio nuoto, alla prima tappa, di notte, con un dislivello di 700 metri, mi sono trovato completamente atterrito. Era la prima volta per me e non nascondo che avevo un po’ di timore. Gli accompagnatori conoscevano a memoria ogni parte della montagna e non era quello il motivo per cui avevo paura. Avevo paura più per me stesso, paura di fallire la prova – prende fiato -, per me era importante dare il massimo per questo progetto»
La staffetta, che è durata cinque giorni, sia in diurna che in notturna, si è poi conclusa a Courmayeur con una parata di applausi, i festeggiamenti e il telegiornale nazionale come palcoscenico dell’impresa. Per tutto il tragitto la squadra ha realizzato un docufilm, fase successiva del progetto. Prossimamente infatti gli atleti parleranno della loro avventura nei centri protesi, dimostrando che esistono diverse alternative ai classici sport proposti ai disabili. «Le ragioni del progetto – torna sull’argomento Massimo - affondano proprio in questa considerazione: far fruire la montagna ai disabili. Molti pensano che quando sei menomato automaticamente se ne vadano molte possibilità di vita. Questo non è vero perché la sfida più grande per chi deve portare una protesi è proprio accettare la sua situazione. Una volta accettata si può tornare a fare tutto, persino scalare una montagna». Per l’anno prossimo i Cinque Giganti hanno già promesso di voler puntare ancora più in alto, al TOR DES GEANTS (330 kilometri con 24.000 metri di dislivello positivo) a dimostrazione che i limiti non esistono ma sono solo imposti.
Mattia Russo

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Il servizio andato in onda sulla Rai