Il contributo del Sud Est Milano all’unità nazionale: da Paullo e Zelo B.P. una colonna di giovani capitanata da Don?Carlo impegnò gli austriaci a porta Tosa

siamo, prima nei moti e nelle guerre di indipendenza dallo straniero, poi - checché se ne dica, nel bene e nel male - per fare del “benedetto stivale” una terra sola, dalle Alpi al canale di Sicilia.
Per cominciare, una premessa: sbaglia chi crede che fuori di Milano, in campagna - tale erano allora i dintorni della metropoli - si vivesse in una specie di oscura terra d’avorio o di triste prigione, avulsi da tutto ciò che succedeva intorno, estranei a qualsiasi moto di novità o miglioramento. Niente affatto! A volte addirittura erano gli umili campagnoli a suonare la sveglia, ad annunciare il progresso. Le idee buone e brillanti non sono prerogativa di nessuno: albergano ovunque ci siano delle intelligenze e delle sensibilità. L’anelito alla libertà accomuna gli spiriti nobili, ovunque essi risiedano. E l’unità fa la forza. Lo dimostra appunto il Risorgimento italiano, lo prova l’epopea garibaldina. Fin tanto che la richiesta di indipendenza dallo straniero e le brame di Unità rimasero confinate nell’ambito delle élites, di pochi cospiratori intellettuali, il fallimento era assicurato; quando invece il Risorgimento allargò la base ai ceti popolari di città e campagna, finalmente trionfò (avverrà lo stesso con il “secondo Risorgimento d’Italia”, vero movimento di popolo: la Resistenza e la liberazione dai nazifascisti).
Le avvisaglie del successo, di questa felice e virtuosa unione, cominciarono a manifestarsi con le epiche Cinque Giornate di Milano, 18-22 marzo 1848. Tutte le località del Sud Est Milano presero parte attiva alla rivoluzione, e i patrioti provenienti per esempio da Peschiera, Mediglia, San Donato, Melegnano, Vizzolo, Segrate e così via diedero un contributo determinante alla vittoria. Tra i “ribelli per amore della libertà” spicca Don Carlo Moro, un prete di Paullo, il quale organizzò una colonna di giovani che si batterono con coraggio a Porta Tosa-Porta Vittoria, quindi a Melegnano e ancora a Paullo (tra i caduti delle Cinque Giornate si ricordano una dozzina di persone di Calvairate e il giovane Andrea Crenna di Zelo Buon Persico, mentre negli scontri di Melegnano i morti furono 12, dei quali uno abitava a Balbiano, e il Conte Carlo Porro a Milano). Altri patrioti di Segrate e dintorni furono guidati all’attacco di Porta Orientale da Don Giovanni Parravicini di Redecesio, coadiutore del prevosto di Segrate.
Tornati in Milano gli Austriaci (la resa degli alleati piemontesi venne firmata dentro la Cascina Roma di San Donato), non si diedero per vinti e domi i nostri eroi: sotto la cenere continuava a covare la voglia di libertà (tra i ricercati dal regime austriaco spiccavano diversi abitanti dei nostri paesi: Paolo Binaghi di Sesto Ulteriano, Francesco Bondioli, Pietro Maestri, Carlo Ottolini, Giuseppe Panzara, Giacomo Pavesi Domenico Pecorini, Carlo Spernazzati di Melegnano, Carlo Pizzamiglio di Colturano, Natale Griffini di Calvenzano, futuro combattente a Roma). Desiderio di libertà che sfociò nei moti repubblicani del 1853, anche quella volta, ahimè, repressa nel sangue, con l’impiccagione di molti valorosi e anni e anni di galera comminati agli oppositori, tra i quali spiccavano il calzolaio Antonio Casati di Calvairate, il cameriere medigliese Elia Cordini, Andrea Brianzoli di Melegnano, nonché Luigi Magnifico di Vizzolo Predabissi, già incarcerato nel 1847 per avversione agli austriaci. Alcuni degli irriducibili emigrarono in Piemonte arruolandosi nell’esercito sabaudo, decisi a continuare la battaglia. Fra coloro che andarono in esilio, i fratelli Antongini impiantarono a Borgosesia una filatura di lane, facendo arrivare da Linate i macchinari di una fabbrica che qui aveva funzionato dal 1834 al ’45: con quelle macchine anni dopo confezionarono le leggendarie camicie rosse dei garibaldini, e poi finanziarono la spedizione dei Mille garantendo loro la traversata dallo scoglio di Quarto e Marsala. Per fortuna, ormai la liberazione stava dietro l’angolo. Nel 1859 si ritorna in armi contro l’occupante d’Austria, avendo per alleati i Francesi. In questo frangente, l’intero territorio tornò a essere l’epicentro degli avvenimenti bellici: siccome gli austriaci, abbandonata Milano, si erano portati a Melegnano seguendo la via Emilia, Napoleone III ordina alle sue truppe di snidarli e di liberare il grosso borgo sulle rive del Lambro. Di quel feroce combattimento dell’8 giugno 1859, che provocò circa 1250 caduti, abbiamo diverse cronache; i caduti sono ricordati nel Monumento-Ossario, dove ogni anno si tiene la commemorazione civica; tra la popolazione melegnanese si registrò per fortuna un solo morto: Lorenzo Negri, di 17 anni. Una cronaca in particolare racconta il tentativo di aggiramento compiuto dai soldati del maresciallo Mac Mahon, prossimo presidente della Repubblica francese, passando sulle nostre terre, da Linate a Bettola, Bettolino, Mediglia (ove sostarono e si cibarono all’osteria sulla piazzetta), Colturano e infine Melegnano. Una colonna di zuavi è guidata dal fittabile di Triginto, Gaetano Vittadini, che in seguito diverrà uno dei primi Sindaci di Mediglia dell’Italia unita.
Ben più celebre di lui è il generale Giuseppe Dezza, nato a Melegnano nel 1830, garibaldino della prima ora, partecipe della spedizione dei Mille (è effigiato in un busto sotto al porticato del Palazzo Municipale); è lui che riceve Vittorio Emanuele II sulla strada di Teano per l’incontro con l’Eroe dei Due Mondi; altri illustri patrioti nostrani furono i fratelli Secondi, e poi molti altri. Per l’appassionata partecipazione al Risorgimento, Melegnano il 5 maggio 1982 è stata dichiarata “città garibaldina”: l’allora sindaco Michele Bellomo ricevette dal presidente del Consiglio Spadolini l’ambito riconoscimento (Garibaldi fu in visita alla città il 26 marzo 1862, accolto trionfalmente). Non meno decisivo il contributo offerto dai sangiulianesi: nell’esercito italiano che combatté nell’Italia meridionale nel 1860-61, una dozzina provenivano da San Giuliano, mentre un quintetto di loro partecipò in Roma alla presa di Porta Pia, il 20 settembre 1870, concorrendo alla fine del dominio temporale del Pontefice; altro combattente garibaldino fu Deodato Pisati, contadino nativo di Ossago ma trasferitosi poi a Triginto e più tardi a Tribiano. La conquista di Roma segnò anche la conclusione, sul piano simbolico, del primo Risorgimento: come si espresse il premier Cavour, fatta l’Italia, a quel punto bisognava fare gli italiani. A mio modesto parere, credo che, tutti insieme, di strada se ne sia fatta parecchia: non si spiegherebbe altrimenti perché l’Italia di oggi, che ha alle spalle la Roma imperiale, il Paese delle cento città comunali e gli splendori del Rinascimento, geni universali come Leonardo, poeti e scrittori del calibro di Dante e Manzoni, figure luminose come Carlo Cattaneo o Sandro Pertini e tantissimi altri - non è retorica, ma la pura verità, che deve riempirci di orgoglio -, venga annoverata tra le Nazioni più importanti al mondo. E perciò: buon 150°, Italia!
Prof. Sergio Leondi