Parla Massimo Tarantino l’uomo senza paura che ha fermato il killer di Assago: «Non sono un eroe. Sono ancora sconvolto per chi ha perso la vita»

L'ex difensore di Napoli, Inter e Bologna: «Ero al posto sbagliato al momento sbagliato ma ho fatto la cosa giusta per proteggere mia moglie e mia figlia»

Massimo Tarantino dirigente sportivo, e le Forze dell'Ordine nei momenti successivi alla tragedia

Massimo Tarantino dirigente sportivo, e le Forze dell'Ordine nei momenti successivi alla tragedia

«Non mi ero preparato a dover affrontare un evento tragico come quello che è accaduto sotto i miei occhi giovedì ad Assago – racconta al Corriere della Sera Massimo Tarantino, l’uomo che ha disarmato e immobilizzato l’omicida Andrea Tombolini, giovedì sera al Carrefour di Milanofiori -. Mi deve credere se le dico che sono in difficoltà a parlarne, e non solo per quello che ho visto. Io sto bene, ma ci sono persone in ospedale e addirittura una che non ce l'ha fatta». Massimo Tarantino dovrebbe in teoria essere avvezzo ai riflettori, non foss'altro perché prima di diventare dirigente sportivo è stato un difensore di Napoli, Inter e Bologna tra le varie squadre, con anche una parentesi al Monza a fine anni Ottanta. È stato responsabile dell'area tecnica della Spal fino al 30 giugno scorso. Giovedì sera era al centro commerciale ha svolto un ruolo fondamentale nel fermare il 46enne milanese che ha accoltellato cinque persone. «Ero con mia moglie Tatiana e mia figlia Giorgia di 22 anni al supermercato a fare la spesa – spiega Tarantino -. Ci trovavamo in fila alla cassa con il carrello quando abbiamo sentito delle urla. In un primo momento è calato il silenzio, perché tutti abbiamo cominciato a chiederci cosa stesse succedendo. Poi è sbucata una persona con la maglia sporca di sangue. A quel punto si è generato il panico, c'era gente che scappava a destra e sinistra. Nel fuggi fuggi generale un uomo con il coltello in mano è corso nella mia direzione, finché un dipendente del Carrefour si è frapposto fra me e lui. E ha preso la coltellata. È stata una questione di attimi, non c'era il tempo di razionalizzare. Semplicemente ho dato un calcio al braccio dell'aggressore facendogli volare via il coltello. A quel punto l'ho immobilizzato finché non sono arrivate le forze dell'ordine che lo hanno preso in custodia. È stata una mossa irrazionale, mica sono addestrato. Non sono scappato perché il mio istinto primario è stato quello di proteggere mia moglie e mia figlia. Ho solo tentato di disarmarlo. Urlava (Tombolini ndr), ma tutti gridavano in quel momento, non si capiva niente. C'era il caos generale. Poi quando è stato disarmato è rimasto immobile, si vedeva che non era lucido. Gli agenti sono sopraggiunti dopo poco, anche se in questo momento non ho bene la percezione del tempo».
Il dipendente del Carrefour che ha preso una coltellata  davanti a Tarantino non era Luis Fernando Ruggieri morto in seguito al fendente sferrato da Tombolini: «No - spiega Tarantino -, perché è avvenuta nelle corsie centrali del supermercato. Credo che sia successo quando abbiamo sentito le prime due-tre urla, cioè al momento dei primi accoltellamenti. Solo in un secondo momento si è creato il panico nella zona delle casse. Io sono sconvolto soprattutto per chi  non ce l'ha fatta, per la sua famiglia  e per chi ha subito le ferite. Non mi sento un eroe, anzi a dirla tutta provo disagio nel ritrovarmi al centro dell'attenzione. Reputo solo di aver fatto la cosa giusta dopo essermi trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato. Guardi - conlclude il coraggioso dirigente sportivio-, ho 51 anni e da tutta la vita faccio la spesa negli ipermercati. Un episodio, pur devastante, non può condizionare la vita mia e della mia famiglia. Non ci può rubare la quotidianità».