Brusca frenata dell’autista di un autobus. L’azienda di trasporto risponde per il ferimento di un passeggero che tornava a casa dopo una giornata di lavoro?

Egregio Avvocato, ho un quesito da porle. Appena uscito dal posto di lavoro, stavo tornando a casa utilizzando come ogni sera un autobus di linea di Milano. Avvicinandosi a una fermata, l'autista ha arrestato bruscamente il mezzo e sono caduto per terra riportando delle ferite. Posso chiedere un risarcimento danni? Se sì, a chi lo devo chiedere? E infine, è da considerarsi infortunio sul lavoro?

Romualdo

Gentile lettore,
ho seguito, come difensore di alcuni danneggiati, personalmente le vicende giudiziarie scaturite da un caso che la giornalista Ilaria Carra così descriveva nelle pagine interne della cronaca di Milano de La Repubblica del 12 maggio 2010: «Frenata improvvisa in galleria paura in metrò a pagano. Una frenata forte ed improvvisa. Il  metrò è pieno, sono le 8:40 e la gente sta andando al lavoro. Chi è in piedi crolla addosso a chi è seduto. Chi riesce s’appende al corrimano o al vicino. In tanti sono catapultati per terra, con voli anche di quattro metri… in due subiscono seri danni. Dopo l’arrivo dell’ambulanza, finiscono  al Fatebenefratelli, a farsi medicare».

Questo che le ho narrato è più noto di molti numerosi altri casi che non hanno avuto l’onore di finire sulle pagine di un quotidiano. Molti altri casi, sono ancora pendenti innanzi al Tribunale e alla Corte d’Appello di Milano. 

Nonostante l’acquisita esperienza sul campo, ancora oggi, tuttavia, quando mi trovo a esprimere un parere su eventi consimili mi fa piacere prendere le mosse da una sentenza di qualche anno fa del Tribunale di Milano commentata dal giornalista Luigi Ferrarella a pag. 49 del Corriere della Sera – Cronaca di Milano – del 07 marzo 2003. L’articolo richiamato e intitolato «Non si attacca al metrò e cade, il giudice le riduce il risarcimento», così recitava: «Primo: attaccarsi al tram. O quantomeno al sostegno della carrozza del metrò. Perché altrimenti Salomone, se scende in metropolitana a decidere la causa civile originata dalla caduta in treno di una passeggera – disarcionata – da una falsa partenza della carrozza, finisce per dover dividere a metà torti e ragioni dell’Atm e della vittima. Risarcita sì, ma soltanto al 50 per cento di quanto richiesto come danni. Il processo, scrive in sentenza il giudice Paolo Torti della decima sezione del Tribunale civile ha permesso di provare con sufficiente certezza che nel gennaio 1998 una cosiddetta “partenza a strappo” della metropolitana”, alla fermata Lima della linea rossa, “costituì il fatto che oggettivamente causò la caduta” di una signora di 67 anni. L’istruttoria, aggiunge il magistrato, non ha invece chiarito se il brusco avvio/frenata sia stato frutto di un errore di manovra del conducente o “di un mal funzionamento anche momentaneo della metropolitana e dei suoi impianti”. Ma il fatto che “in  capo all’azienda” spettino “la custodia delle carrozze e dei relativi macchinari”, fa sì che il giudice ravvisi “una responsabilità oggettiva” dell’Atm “indipendentemente dalla ricerca di un nesso causale con l’evento…”. Allora paga l’Atm?... Sì, ma non da sola. “L’istruttoria – rileva infatti la sentenza – ha anche permesso di accertare che, al momento della partenza e della conseguente caduta, la passeggera non si era tenuta agli appositi sostegni”. Questa circostanza “induce a ritenere che la permanenza in piedi sulla vettura”, da parte della donna che non aveva trovato posto a sedere, “avrebbe dovuto consigliarle una maggiore attenzione e prudenza”».

I principi che hanno ispirato la richiamata pronuncia sono  ancora oggi molto attuali. 

La fattispecie è quella del contratto di trasporto di persone a titolo oneroso previsto e disciplinato dagli artt. 1678 e seguenti del Codice Civile. Obliterando un biglietto si conclude un regolare contratto di trasporto.

Le norme contenute negli articoli 1681 e 1228 del Codice Civile stabiliscono principi da cui si ricava che il conducente di un mezzo pubblico adibito al trasporto di persone deve garantire che tutti i trasportati viaggino in condizioni di assoluta sicurezza e deve farsi carico che il percorso sia compiuto in maniera tale che i viaggiatori non subiscano incidenti e conseguentemente danni durante il trasporto.

L’art. 1681, in particolare, sancisce a carico del vettore una presunzione iuris tantum di colpa, che si risolve in sostanza sul piano processuale nell’inversione dell’onere della prova: il vettore per andare esente da responsabilità deve provare di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno e che l’evento dannoso costituisce fatto imprevedibile e non evitabile con la normale diligenza (Cassazione Civile, Sez. III, 20 luglio 2010, n. 16893), mentre sul passeggero danneggiato incombe esclusivamente l’onere di dare la prova di aver concluso un contratto di trasporto e di avere subito un danno in occasione del trasporto stesso.

Ritornando alla sua domanda – e date le premesse – Le rispondo dicendo che potrà certamente chiedere il risarcimento del danno alla Società che gestisce il servizio di trasporto de quo. Attenzione che l’azione si prescrive nel termine breve di un anno dalla data del sinistro. 

Tenga, inoltre e comunque, bene a mente che tra i suoi compiti vi è anche quello di provare di aver tenuto nella circostanza in esame un comportamento estremamente vigile, attento e responsabile e non avere quindi minimamente concorso a cagionare il danno perché altrimenti ai sensi dell’art. 1227 Cod. Civ. il risarcimento verrebbe diminuito secondo la gravità della sua colpa.

Infine e in ordine all’ultima domanda da Lei rivolta, Le preciso che l’infortunio è da considerarsi in itinere in quanto occorso durante il normale percorso di ritorno dal posto di lavoro al luogo di abitazione e, pertanto, è indennizzabile da parte dell’Ente assicuratore a ciò preposto.

 

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