Covid, 6000 morti nei mesi di febbraio, marzo, aprile 2020 nel bergamasco, tutta colpa dell’Uomo di Neanderthal? Vediamoci chiaro

I geni dell’Uomo di Neanderthal sono presenti nel 15% della popolazione italiana, nel 16% dei cittadini europei e nel 50% di quelli asiatici

Neanderthal museum germany detailed wax figure of neanderthal prehistoric caveman

Sentite, sentite! Sembra che la vera e unica causa che abbia portato alla morte di ben seimila persone affette da Covid nei mesi di febbraio, marzo e aprile 2020 nella provincia di Bergamo non siano state le condizioni di salute precarie dovute all'età avanzata o ad altri fattori di rischio come malattie preesistenti, una dieta scorretta, l'inquinamento atmosferico o uno stile di vita poco salutare, uniti ad un protocollo medico discutibile che prevedeva soltanto l'assunzione di Tachipirina e l'attesa senza praticare le terapie specifiche che invece erano indicate.

Inoltre, non si può dimenticare l'orribile uso di maschere per l'ossigeno con una compressione e iperventilazione, pensando di curare un'insufficienza respiratoria quando in realtà si trattava di una proliferazione di coaguli di sangue nei polmoni. Insomma, per aiutare a placare un senso di colpa dei responsabili di questa politica sociosanitaria, è stata scoperta una sequenza di geni appartenenti al genoma del Neanderthal, un essere umano contemporaneo all' Homo Sapiens fino a 50.000 anni fa, i resti del quale furono scoperti per la prima volta nel 1856 nella valle di Neanderthal in Germania.

Questa sequenza di geni del Neanderthal sembrerebbe avere un impatto negativo sul sistema immunitario delle persone che ne sono portatrici, rendendole più vulnerabili all'infezione da Covid e alle sue gravi conseguenze. Questa scoperta potrebbe aiutare a spiegare perché alcune persone presentano una maggior suscettibilità alla malattia e possono sviluppare sintomi più gravi, fino a perdere la vita, mentre altre persone riescono a combattere efficacemente il virus e ad uscirne indenni.

È importante sottolineare che questa scoperta non deve portare a un bias negativo nei confronti delle persone portatrici di questa sequenza di geni del Neanderthal. Il patrimonio genetico umano è estremamente vario e complesso e ogni individuo, indipendentemente dal suo patrimonio genetico, ha il diritto di ricevere cure mediche adeguate e appropriate. Invece, questa scoperta offre agli scienziati un'ulteriore chiave di comprensione del virus e potrebbe contribuire allo sviluppo di terapie mirate per le persone con una maggiore predisposizione genetica a sviluppare forme gravi di Covid.

Nel presente sequenziamento genetico, nello specifico nel cromosoma 3, è stato individuato un rischio di variazione nella risposta immunitaria delle cellule degli alveoli polmonari. Questo rischio, chiamato "aplotipo", è costituito da una serie di geni. L'istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano ha sviluppato uno studio chiamato "Origin" per rispondere alla domanda su perché alcune persone manifestano solo sintomi lievi di COVID-19, mentre altre hanno conseguenze gravi che richiedono l'ospedalizzazione o, addirittura, possono portare alla morte.

Lo studio si basa anche su una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica "Nature" nel 2020 dal biologo svedese Svante Paabo, vincitore del premio Nobel per la medicina nel 2022. Per condurre lo studio, sono state coinvolte 10mila persone residenti nella provincia di Bergamo, che hanno compilato un questionario online riguardante la loro esperienza con COVID-19. Successivamente, sono state selezionate 1200 persone tra i partecipanti in base all'età, al sesso e alle eventuali malattie concomitanti. Questi partecipanti sono stati suddivisi in tre gruppi: 400 che hanno contratto il virus in forma grave, 400 che hanno avuto una forma lieve della malattia e 400 immuni alla patologia.

Questo studio mira quindi a comprendere i fattori genetici che influenzano la risposta individuale alle infezioni da COVID-19. L'identificazione di specifici geni correlati all'aplotipo nel cromosoma 3 potrebbe fornire informazioni preziose per comprendere perché alcune persone sperimentano sintomi più gravi della malattia rispetto ad altre. Ciò potrebbe anche aprire la strada allo sviluppo di nuove terapie mirate, che potrebbero migliorare la prognosi per i pazienti affetti da COVID-19. Tuttavia, ulteriori ricerche e studi sono necessari per confermare questi risultati e comprenderne appieno le implicazioni per la salute pubblica.

Secondo uno studio condotto da ricercatori, è stato riscontrato che le persone con i geni del Neanderthal nel loro DNA hanno una maggiore probabilità di sviluppare una forma grave della malattia rispetto a coloro che non ne sono portatori. Inoltre, è stato osservato che questo residuo di genoma neanderthalense si trova anche tra i residenti nella provincia di Bergamo che sono stati sottoposti all'esame. Tuttavia, bisogna sottolineare che questo non è sufficiente per stabilire un nesso causale tra la presenza dei geni preistorici nel cromosoma 3 e la gravità della malattia da covid-19.

È importante notare che questi geni sono presenti nel 15% della popolazione italiana, nel 16% dei cittadini europei e nel 50% di quelli asiatici, come affermato dal dottor Remuzzi, direttore dell'Istituto Negri. Pertanto, secondo il dottor Remuzzi, non si tratta solo di una questione genetica, ma l'aplotipo Neanderthal è la regione del genoma umano più strettamente correlata alle forme gravi del covid-19. Questo risultato di ricerca conferma ancora una volta l'importante ruolo della genetica nel determinare le funzioni vitali dell'organismo.

Tuttavia, il dottor Luigi Barone, un ricercatore indipendente, naturopata, dottore in Scienze dell'alimentazione e Nutrizione Umana e giornalista scientifico, ha affermato che non sono solo i geni del Neanderthal a variare di generazione in generazione. Infatti, il gene metilene tetraidrofolato reduttasi in codifica MTHFR, un enzima fondamentale nel metabolismo umano che converte l'omocisteina in metionina, può subire mutazioni. Queste mutazioni influenzano la metilazione, che è un processo biologico coinvolto nella regolazione dell'espressione dei geni. Di conseguenza, si indebolisce il sistema di difesa dell'organismo.

In conclusione, queste evidenze scientifiche dimostrano che sia i geni del Neandertal che le mutazioni del gene MTHFR possono avere un impatto sulla suscettibilità a sviluppare forme gravi di COVID-19. La ricerca genetica continua a fornire importanti informazioni sulla comprensione della malattia e sull'individuazione di possibili fattori di rischio.

Alberto Lori