Comunione ereditaria fra fratelli: chi ha vissuto con i genitori, può vantare dei privilegi sulla casa familiare?
«Il fatto che sua sorella abbia convissuto con i suoi genitori, prima, e con sua madre, poi, non le dà diritti o privilegi diversi rispetto a lei e agli altri fratelli coeredi»
08 luglio 2015
Buonasera,
Sono coerede dell'immobile dei miei genitori deceduti per una quota del 25% (siamo 4 fratelli).
Una delle mie sorelle vive in questa casa dal 1985, assieme prima ai genitori e poi alla mamma deceduta qualche giorno fa. Il mio quesito è questo: può mio sorella aver maturato un diritto di abitazione o di usufrutto alla morte della mamma nei confronti degli altri coeredi?
Gentile Sig. Alessandro,
in base agli elementi che pone alla mia attenzione, la risposta al suo quesito è NO. Ho analizzato la questione unitamente all’ Avv. Simona Tesolin, collega di studio, che si occupa fra l’altro anche di diritto successorio. Il fatto che sua sorella abbia convissuto con i suoi genitori, prima, e con sua madre, poi, non le dà diritti o privilegi diversi rispetto a lei e agli altri fratelli coeredi, a meno che nel testamento non sia stata espressa una volontà in tal senso, ma dal tenore della sua domanda non mi pare proprio che vi siano state disposizioni di questo tipo.
Non rinvengo nel suo quesito se la casa in questione fosse di proprietà esclusiva della mamma ovvero di entrambi i genitori e se, dunque, a seguito del decesso di vostro padre - che mi pare di capire, sia avvenuto prima di quello di vostra madre – avevate già provveduto ad effettuare tutte la pratiche necessarie per la denuncia di successione (per legge obbligatoria entro un anno dall’evento) con i conseguenti aggiornamenti catastali attestanti la ripartizione delle quote di proprietà fra i vari coeredi (coniuge per il 33,33% e 4 figli per una quota complessiva del 66,66% da suddividere per 4).
Non entrerò, in ogni caso, nel merito della possibilità che vostro padre fosse venuto a mancare più di 10 anni prima di vostra madre e nessuno abbia fatto qualcosa per difendere la sua quota di eredità paterna, poiché questo aprirebbe scenari molto diversi e più complessi, che, tuttavia, non mi pare sia il caso di affrontare in questa sede visto che nella sua domanda esordisce parlando chiaramente di una comproprietà fra fratelli del 25% ciascuno, pertanto, devo presumere che sul punto non ci siano questioni.
Dato, dunque, per assodato che l’eventuale successione paterna si sia svolta regolarmente, è certo che sua madre ha goduto del bene in questione per tutta la durata della sua vita, o in virtù di un diritto esclusivo di proprietà ovvero in forza di un diritto di abitazione espressamente riconosciuto dall’art. 540 del Codice Civile in favore del coniuge superstite sulla casa familiare di proprietà comune o del coniuge defunto, anche qualora concorra con altri chiamati all’eredità.
Quindi sua madre ha avuto la materiale disponibilità del bene fino alla sua morte (c.d. possesso), in tal modo, inibendo a sua sorella la possibilità di maturare qualsiasi diritto che le garantisca oggi la possibilità di godere in via esclusiva della casa in cui pure ha vissuto dal 1985.
Adesso, però, che è venuta a mancare vostra madre, la situazione è cambiata ed è preferibile, nel comune interesse di prevenire future contese, regolare la presenza di sua sorella nella casa di famiglia, nonché il titolo per cui continuerà eventualmente a viverci in via esclusiva.
Come avevo già avuto modo di sottolineare qualche settimana fa nel rispondere alla lettrice Marialuisa, anche lei e i suoi fratelli vi trovate in uno stato di c.d. comunione ereditaria.
Dopo la morte dei vostri genitori, infatti, siete divenuti comproprietari.
Il che significa che tutti e quattro, senza distinzioni, potete servirvene, ma senza alterarne la destinazione e, soprattutto, senza impedire agli altri di parimenti utilizzarla; potete percepire in proporzione alla vostra quota gli eventuali frutti (come, ad esempio, un canone di locazione), e, sempre in proporzione alla vostra quota, dovete partecipare alle spese di gestione e all’amministrazione della cosa comune.
Nel caso di specie, se sua sorella volesse continuare a vivere lì, potreste accordarvi affinché rilevi le vostre quote e vi liquidi in denaro il valore delle medesime, ovvero paghi un canone di locazione, che, però, naturalmente, dovrebbe essere decurtato della quota che spetterebbe a lei quale comproprietaria con una conseguente ripartizione anche delle spese di gestione straordinaria che tenga in debita considerazione le rispettive quote di proprietà.
Oppure, un’altra soluzione condivisa potrebbe essere quella di vendere la casa, ripartendone il ricavato, ovvero di concederla in locazione, suddividendone i relativi frutti.
In caso di totale disaccordo, però, la strada da percorrere, come già spiegato nella risposta alla lettrice Marialuisa - cui rimando per maggiori dettagli soprattutto relativi allo scioglimento dello stato di comunione - sarebbe quella di rivolgervi ad un legale per ottenere la divisione giudiziale.
In questo ultimo ed estremo caso, se sua sorella nelle more dovesse continuare ad abitare presso la casa di famiglia senza il vostro consenso avreste comunque la possibilità di chiedere un indennizzo per il mancato godimento del bene in violazione del vostro diritto di proprietà.
Come ha più volte ribadito la giurisprudenza, ad esempio nella sentenza del 27.08.2012 n. 14652, all'atto dello scioglimento della comunione, il coerede che ha avuto il possesso esclusivo del bene ereditario sarà tenuto al rendiconto della gestione nei confronti degli altri eredi e accanto al suo diritto di recuperare le spese sostenute per il miglioramento del bene, tale da averne determinato un aumento di valore, sarà tenuto, qualora gli altri coeredi ne facciano richiesta espressamente, alla restituzione dei frutti civili: “in tema di divisione immobiliare il condividente di un immobile che durante il periodo di comunione abbia goduto del bene in via esclusiva senza un titolo giustificativo, deve corrispondere agli altri i frutti civili, quale ristoro della privazione della utilizzazione ”pro quota” del bene comune e dei relativi profitti, con riferimento ai prezzi di mercato correnti dal tempo della stima per la divisione a quello della pronuncia”. Una massima, poi, confermata anche da una successiva pronuncia della sez. II Civile della Corte di legittimità, che, nell’esercizio della sua funzione nomofilattica, con sentenza 16 maggio - 5 settembre 2013, n. 20394 (Presidente Triola – Relatore Manna) affermava il seguente principio di diritto: “[…] il comproprietario che durante il periodo di comunione abbia goduto l'intero bene da solo senza un titolo che giustificasse l'esclusione degli altri partecipanti alla comunione, deve corrispondere a questi ultimi, quale ristoro per la privazione dell'utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, i frutti civili, con riferimento ai prezzi di mercato correnti, frutti che, identificandosi con il corrispettivo del godimento dell'immobile che si sarebbe potuto concedere ad altri, possono - solo in mancanza di altri più idonei criteri di valutazione - essere individuati nei canoni di locazione percepibili per l'immobile".
Avvocato Luigi Lucente
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08 luglio 2015