Il genitore indifferente può essere punito ed educato a rispettare i provvedimenti di affidamento del minore
Per indurre il genitore inadempiente a ravvedersi, la L. 56 del 2006 ha introdotto i rimedi di carattere sanzionatorio e risarcitorio di cui all’art. 709 ter del Codice di Procedura Civile.
01 ottobre 2014
Egr. Avvocato,
sono separata da 3 anni, e la causa giudiziale si è da poco conclusa. Il problema al quale sto cercando una soluzione è la frequentazione di padre/figlio dal momento che il padre risulta assente e non chiede di vedere il figlio. Già ad inizio causa dopo la prima udienza ed il provvedimento provvisorio, il padre non si è fatto vivo per circa 6 mesi (pur pagando comunque l'assegno di mantenimento ma non le spese straordinarie). Allora mio figlio aveva 4 anni, e dopo mie mille lettere, messaggi e telegrammi da dicembre 2011 sono finalmente ripresi i rapporti tra padre e figlio. Da allora il padre ha iniziato a vedere il figlio gradatamente sino ad instaurare la consuetudine dei week-end alternati ma rinunciando alla visita infrasettimanale perché a suo dire non aveva tempo. Stavo quindi vivendo una situazione "serena", per quanto mi rendessi conto che il padre non si dedicava al figlio, non gli dava l'attesa attenzione, ma lo portava semplicemente con sè per sbrigare le proprie commissioni. Si trattava comunque di una presenza non assidua ma
costante, con mille lacune (ne cito una: ha lasciato da solo il figlio in auto mentre dormiva...).Per le vacanze estive eravamo d'accordo che dall'11 al 22 agosto avrebbe tenuto con sé il figlio, e ne aveva anche parlato direttamente con il bambino. A fine luglio arriva la sentenza definitiva della causa di separazione giudiziale, e probabilmente visto l'esito della causa, la reazione del padre è stata quella di sparire. Da un mese (l'ultimo week end in cui ha preso il figlio è stato quello del 26-27 luglio) non risponde più al telefono ed è venuto meno all'accordo di trascorrere le 2 settimane di agosto con il figlio. Ora cercando delle risposte ai mille interrogativi che mi sto ponendo ho letto sul sito 7giorni.info la Sua risposta che riporto di seguito. Il mio caso, rispetto a quello della Signora che Le ha scritto, è diverso: mio figlio è minorenne e quindi forse potrei agire in qualche modo per richiamare il padre ai propri doveri verso il figlio. Non capisco davvero come un padre possa negarsi ad un figlio che lo cerca e mi chiedo anche che valore affettivo può avere una frequentazione ottenuta con la forza attraverso la legge (ammesso che si riesca). E pur tuttavia vorrei fare qualcosa per oppormi a questo comportamento che priva mio figlio di un diritto e chissà quali implicazioni tale privazione potrà avere un domani ... a non fare nulla mi sentirei complice di un reato. La ringrazio per l'attenzione e La saluto cordialmente.
Marina Durante
Gentile Signora,
rispondendo alla lettrice Ally nell’articolo pubblicato il giorno 11.10.2012 , che lei stessa richiama nel suo quesito, avevo già fatto cenno all’esistenza di alcuni strumenti introdotti dal nostro legislatore per garantire al minore il mantenimento di un rapporto equilibrato e continuativo con il padre e la madre.
Il suo quesito, oggi, mi offre l’opportunità di fare maggiore chiarezza sul punto e sulle possibilità di un genitore di agire per richiamare l’altro ai propri doveri verso il figlio minorenne, e, in particolar modo, per assicurarsi che i provvedimenti già assunti dall’Autorità Giudiziaria nell’interesse della prole vengano rispettati e non rimangano solo sulla carta.
Nella sua missiva, infatti, leggo che, in concomitanza con le ultime ferie estive, è stata decisa con sentenza la causa di separazione giudiziale, di cui non mi riassume il contenuto, ma che, in assenza di altri diversi dettagli in merito e in considerazione delle sue richieste, presumo abbia previsto e disciplinato un diritto/dovere di visita del padre, a cui, invece, il suo ex marito si sta sottraendo.
Orbene, per trattare casi come il suo, e, così, per indurre il genitore inadempiente a ravvedersi, la L. 56 del 2006 ha introdotto i rimedi di carattere sanzionatorio e risarcitorio di cui all’art. 709 ter del Codice di Procedura Civile.
Partendo dall’analisi della lettera del testo, il II comma della citata norma, così, recita: “A seguito del ricorso, il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni. In caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento, può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente:
1) ammonire il genitore inadempiente;
2) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore;
3) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro;
4) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende. …”.
In sostanza, l’intervento del giudice dovrebbe essere finalizzato a superare eventuali difficoltà pratiche o contrasti tra genitori che spesso emergono nella fase di attuazione dei provvedimenti giudiziali che dispongono sull’affidamento dei figli o in materia di esercizio della potestà genitoriale.
I genitori, comunque, potranno rivolgersi al giudice, anche in mancanza di una controversia insorta tra di loro, allorché si siano verificate delle gravi inadempienze – quali, ad esempio, l’inadempimento totale o parziale all’obbligo di mantenimento dei figli – o violazioni – quali, ad esempio, gli ostacoli frapposti alla frequentazione o la discontinuità nell’esercizio della frequentazione stessa con i figli – da parte di uno dei genitori, rispetto al provvedimento di affidamento; o, ancora, nel caso in cui inadempienze e violazioni si sovrappongano, come avviene quando un genitore assume unilateralmente una decisione di maggiore interesse per il figlio – ad esempio, modificandone il luogo di residenza con uno maggiormente distante dal genitore non collocatario.
In tutti questi casi il giudice, una volta accertate le gravi inadempienze e/o l’esistenza di atti che arrechino pregiudizio al minore ostacolando il corretto svolgimento delle modalità di affidamento, potrà modificare i provvedimenti in vigore oppure adottare una o più delle misure coercitive e sanzionatorie previste (così come, recentemente, confermato anche da Cass. Civ., sez. II., ordinanza 2 aprile 2013 n. 8016 Pres. Plenteda, rel. Scaldaferri).
Tra di esse, al n. 1, vi è, innanzitutto, la sanzione dell’ammonimento, che consiste nell’avvertimento del genitore inadempiente al rispetto di quanto deciso nella sentenza o nell’accordo di separazione o di divorzio. Si tratta, dunque, di un semplice deterrente psicologico a non reiterare quei comportamenti ai quali fa espresso riferimento la norma (“gravi inadempienze o … atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento”).
Tuttavia, deve rilevarsi che l’efficacia di tale misura è assai dubbia, non avendo delle ripercussioni, a livello pratico, immediate e incisive.
Vi è, poi, la sanzione amministrativa pecuniaria da corrispondersi in favore della Cassa delle ammende, prevista nella misura minima di euro 75 fino ad un massimo di euro 5.000, che può anche essere comminata congiuntamente all’ammonimento e costituisce anch’essa un deterrente al ripetersi dei comportamenti contrari alla norma.
E’ una misura coercitiva a carattere patrimoniale che, secondo la dottrina prevalente, sarebbe assimilabile ad analoghi istituti utilizzati in Francia e in Germania.
Il Giudice ha discrezionalità nella individuazione della misura da applicare al caso concreto, che viene essenzialmente commisurata alla gravità della condotta: tanto più importante è l’inadempimento del genitore, tanto più incisivo sarà il trattamento sanzionatorio comminato dall’Autorità.
Inoltre, nel caso in cui lo scorretto comportamento di uno dei genitori verso il figlio sia causa anche di evidenti pregiudizi per l’altro genitore o per il minore, è prevista un’ulteriore misura, e cioè il risarcimento dei danni.
Sempre con maggior frequenza, i giudici pronunciano condanne risarcitorie, per lo più, ritenendo il danno una naturale conseguenza del deprecabile comportamento meritevole di condanna (come i c.d. punitive damages di origine nordamericana).
In tal senso, ad esempio, si segnala la decisione della Corte di Appello di Firenze che il 29 agosto 2007, pubblicata quindi poco dopo l’entrata in vigore della L. 54 del 2006, che ha condannato al risarcimento per il danno subito dal minore a causa della privazione della frequentazione paterna.
In tempi più recenti, poi, e nello stesso senso di un’ampia applicazione dell’art. 709 ter c.p.c., si ricorda anche la decisione del Tribunale di Catania, I sezione, del 23.11.2012.
Nel caso esaminato dal Tribunale siciliano, la situazione familiare era totalmente compromessa, poiché il padre già da quattro anni aveva cessato di corrispondere l’assegno di mantenimento e di contribuire alle spese straordinarie per la figlia. Inoltre, lasciava trascorrere mesi interi senza cercare la figlia, non ottemperando con regolarità al diritto-dovere di visita. La madre era stata costretta più volte a ricorrere ad azioni esecutive nei confronti dell’ex marito per ottenere il mantenimento.
Ebbene, il Collegio ha ritenuto di emanare sia l’ammonimento e l’invito ad astenersi in futuro da condotte qualificabili di violazione delle prescrizioni contenute nel decreto di omologa della separazione, sia la sanzione amministrativa pecuniaria della somma di 1.000 euro.
Quanto al risarcimento del danno, è stato quantificato in via equitativa nella somma di 6.000 euro, di cui 3.000 per la figlia e 3.000 per la madre.
Per completezza, è, infine, doveroso precisare che tutti i rimedi fino a questo momento esposti possono essere richiesti all’Autorità Giudiziaria in sede civile, nel corso di un procedimento di separazione o divorzio, ovvero, come nel suo caso, all’esito di essi.
Tuttavia, le condotte inadempienti di un genitore possono integrare anche il reato di cui all’art. 570 del Codice Penale, intitolato appunto “Violazione degli obblighi di assistenza familiare”.
E’ dunque possibile per un genitore presentare una querela ai carabinieri per denunciare i comportamenti dell’altro, che si sia sottratto ai propri doveri di assistenza inerenti alla potestà genitoriale.
A tal proposito, si riporta lo stralcio di una interessante sentenza della Corte di Cassazione, sez. VI, del 24 ottobre 2013 n. 51488, che, occupandosi di un contesto familiare davvero molto problematico, ben riassume gli attuali orientamenti della giurisprudenza in argomento: “[…] i Giudici di merito hanno concordemente rilevato che l'imputato ha sempre assunto un atteggiamento di totale disinteresse nei confronti del figlio minore, ponendo in evidenza come egli, assente al momento della nascita del figlio, sin dall'inizio non si sia curato affatto di conoscerlo, ma lo abbia visto solo un paio di settimane dopo, quando la moglie, di sua iniziativa, accampando la scusa che il bambino stesse male, lo portò presso il luogo di lavoro ove si trovava l'imputato.
Tale situazione di sostanziale disinteresse e costante indifferenza è rimasta del tutto immutata nel tempo, atteso che l'imputato, dopo averlo incontrato per iniziativa del moglie, ha continuato a non avere alcun contatto con il figlio e si è rifiutato di instaurare con lui qualsiasi forma di rapporto affettivo, con la conseguenza che egli ha potuto contare solo sulla piena e valida assistenza prestata dalla madre.
In tal guisa ricostruito il contesto storico-fattuale della regiudicanda, è d'uopo rilevare come i Giudici di merito abbiano fatto buon governo del quadro di principii che regolano la materia, […] osservando che la condotta dell'imputato […] integra la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 570 c.p., comma 1, in quanto assume una connotazione di particolare gravità e pregiudizio per il minore, costringendolo a crescere privo di una delle due fondamentali relazioni affettive, necessaria per un'adeguata ed armonica formazione della sua personalità e per agevolare lo svincolo dalla figura materna, con ripercussioni negative sullo sviluppo e sulle capacità relazionali del minore.
A tale riguardo, invero, la Corte palermitana si è uniformata alla linea interpretativa che questa Suprema Corte ha da tempo tracciato, allorquando ha stabilito che la condotta contraria all'ordine e alla morale delle famiglie presa in considerazione dell' art. 570 c.p., comma1, non è punita di per sè, ma solo in quanto abbia avuto per risultato la violazione degli obblighi assistenziali inerenti alla potestà genitoriale, alla tutela legale e alla qualità di coniuge.
Ne consegue che la violazione degli obblighi di assistenza morale ed affettiva verso i figli, certamente integrata dal totale disinteresse e dalla costante indifferenza verso costoro, assume rilievo penale soltanto se si riflette negativamente sui figli minori, in quanto solo in questo caso viene ad esaltarsi il rapporto genitore-figlio, con precipuo riferimento agli obblighi connessi alla potestà di genitore (Sez. 6^, n. 26037 del 25/03/2004, dep. 09/06/2004, Rv.229779).
Entro tale prospettiva, inoltre, si è rilevato che gli obblighi di assistenza morale ed affettiva, incombenti sull'esercente la potestà di genitore ai sensi dell'art. 570 c.p., comma 1, vengono meno solo con il raggiungimento della maggiore età dei figli (Sez. 6^, n. 12306 del 13/03/2012, dep. 02/04/2012, Rv. 252603). […] Pertanto, se è legittimo l'affidamento di figli minori ad altri che moralmente ed economicamente sia in grado di provvedere al loro mantenimento, alla loro educazione e istruzione, è da ritenere tuttavia contraria all'ordine e alla morale della famiglia una condotta omissiva che concreti, da un lato, il completo disinteresse dei genitori nei loro riguardi, e, dall'altro lato, la consapevole certezza da parte dei figli di non poter contare sulla guida, sull'aiuto, sull'affetto, sul consiglio e sulla costante protezione dei genitori (Sez. 6^, n. 4381 del 16/03/1973, dep. 29/05/1973, Rv. 124198).[…]
La fattispecie incriminatrice in esame deve ritenersi posta essenzialmente a presidio dei contenuti non direttamente economico- patrimoniali dell'assistenza giuridicamente spettante ai coniugi ed ai figli, mirando a preservare, all'interno della relazione genitoriale, la continuità del rapporto educativo-assistenziale che deve sempre intercorrere tra genitori e figli minori, anche a prescindere dalle vicissitudini dei legami coniugali.
Entro tale prospettiva, dunque, deve cogliersi il contenuto di offensività della figura criminosa descritta nell'art. 570 c.p., comma 1, il cui nucleo strutturale si raccoglie attorno ad una condotta omissiva di sottrazione agli obblighi assistenziali lato sensu intesi - non solo quelli di matrice "economica", quindi, ma anche quelli, su richiamati, di cura e solidarietà intra-familiare, volti a rendere possibile un'evoluzione completa ed equilibrata della personalità del minore - condotta le cui note modali, per le oggettive caratteristiche di durata, rilevanza ed intensità della violazione, consentano di ritenere attinto un sufficiente livello di gravità, tale da compromettere o porre concretamente in pericolo l'ordinario funzionamento della compagine familiare, o comunque del rapporto giuridico familiare rilevante nel caso di specie.
Non rileva, dunque, qualsiasi inadempimento degli obblighi di assistenza familiare, ma solo quella condotta omissiva in concreto idonea a ripercuotersi negativamente sugli interessi del minore, ponendone seriamente in pericolo, attraverso una sostanziale dismissione delle funzioni connesse al ruolo genitoriale, i presupposti e le condizioni poste a presidio di un pieno ed equilibrato sviluppo della sua personalità.
L'ambito di applicazione della norma, di conseguenza, deve considerarsi limitato a quei comportamenti che esprimano una significativa ed apprezzabile compromissione delle più elementari esigenze di cura ed assistenza del figlio minore o del coniuge, senza incidere su fatti contrassegnati da minimo disvalore offensivo o da mere disfunzioni dei rapporti intra-familiari. Nel caso in esame, come si è già avuto modo di osservare, la pronuncia impugnata ha posto in evidenza come la condotta di aperto rifiuto e disinteresse posta in essere dall'imputato possa indurre nel bambino sentimenti di colpa, di abbandono e di scarsa autostima, anche in ragione della sofferenza derivante dal confronto con gli altri coetanei, inseriti in un quadro di relazioni familiari stabilmente costituite, o comunque in grado di rapportarsi continuativamente con la figura genitoriale del padre […]”.
Nel Suo caso non posso sapere se la sua situazione familiare sia altrettanto grave da giustificare un’iniziativa forte come quella di denunciare il padre di suo figlio.
Certamente, prima di fare qualunque cosa, la domanda più difficile alla quale dovrà trovare una risposta è quella che si è giustamente posta lei, e cioè che valore possa avere per suo figlio una frequentazione ottenuta con la forza e, mi permetterei di aggiungere, che ripercussioni potrebbero avere, anche a livello psicologico, su suo figlio eventuali nuove battaglie contro il padre.
Purtroppo, però, né un avvocato né la legge possono fornirle delle risposte e, tantomeno, certezze in merito a questi delicati interrogativi, che può valutare solo lei, soppesando cosa sia meglio per il benessere e la serenità del minore. Mi rendo conto che non è di sicuro facile.
Un tempo, prima della L. 54 del 2006 – e potrei offrire a riprova di ciò anche sentenze che hanno deciso casi trattati dal mio studio – c’erano giudici convinti che non si potesse obbligare coattivamente un padre a frequentare un figlio. Oggi, tutto è cambiato. Sono cambiate le norme e anche gli orientamenti in materia di diritto di famiglia che sono più severi. Pertanto, se dovesse ritenere che la scelta giusta nell’interesse di suo figlio è quella di fare qualcosa, l’ordinamento con gli strumenti che le ho spiegato può aiutarla nel suo intento.
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sono separata da 3 anni, e la causa giudiziale si è da poco conclusa. Il problema al quale sto cercando una soluzione è la frequentazione di padre/figlio dal momento che il padre risulta assente e non chiede di vedere il figlio. Già ad inizio causa dopo la prima udienza ed il provvedimento provvisorio, il padre non si è fatto vivo per circa 6 mesi (pur pagando comunque l'assegno di mantenimento ma non le spese straordinarie). Allora mio figlio aveva 4 anni, e dopo mie mille lettere, messaggi e telegrammi da dicembre 2011 sono finalmente ripresi i rapporti tra padre e figlio. Da allora il padre ha iniziato a vedere il figlio gradatamente sino ad instaurare la consuetudine dei week-end alternati ma rinunciando alla visita infrasettimanale perché a suo dire non aveva tempo. Stavo quindi vivendo una situazione "serena", per quanto mi rendessi conto che il padre non si dedicava al figlio, non gli dava l'attesa attenzione, ma lo portava semplicemente con sè per sbrigare le proprie commissioni. Si trattava comunque di una presenza non assidua ma
costante, con mille lacune (ne cito una: ha lasciato da solo il figlio in auto mentre dormiva...).Per le vacanze estive eravamo d'accordo che dall'11 al 22 agosto avrebbe tenuto con sé il figlio, e ne aveva anche parlato direttamente con il bambino. A fine luglio arriva la sentenza definitiva della causa di separazione giudiziale, e probabilmente visto l'esito della causa, la reazione del padre è stata quella di sparire. Da un mese (l'ultimo week end in cui ha preso il figlio è stato quello del 26-27 luglio) non risponde più al telefono ed è venuto meno all'accordo di trascorrere le 2 settimane di agosto con il figlio. Ora cercando delle risposte ai mille interrogativi che mi sto ponendo ho letto sul sito 7giorni.info la Sua risposta che riporto di seguito. Il mio caso, rispetto a quello della Signora che Le ha scritto, è diverso: mio figlio è minorenne e quindi forse potrei agire in qualche modo per richiamare il padre ai propri doveri verso il figlio. Non capisco davvero come un padre possa negarsi ad un figlio che lo cerca e mi chiedo anche che valore affettivo può avere una frequentazione ottenuta con la forza attraverso la legge (ammesso che si riesca). E pur tuttavia vorrei fare qualcosa per oppormi a questo comportamento che priva mio figlio di un diritto e chissà quali implicazioni tale privazione potrà avere un domani ... a non fare nulla mi sentirei complice di un reato. La ringrazio per l'attenzione e La saluto cordialmente.
Marina Durante
Gentile Signora,
rispondendo alla lettrice Ally nell’articolo pubblicato il giorno 11.10.2012 , che lei stessa richiama nel suo quesito, avevo già fatto cenno all’esistenza di alcuni strumenti introdotti dal nostro legislatore per garantire al minore il mantenimento di un rapporto equilibrato e continuativo con il padre e la madre.
Il suo quesito, oggi, mi offre l’opportunità di fare maggiore chiarezza sul punto e sulle possibilità di un genitore di agire per richiamare l’altro ai propri doveri verso il figlio minorenne, e, in particolar modo, per assicurarsi che i provvedimenti già assunti dall’Autorità Giudiziaria nell’interesse della prole vengano rispettati e non rimangano solo sulla carta.
Nella sua missiva, infatti, leggo che, in concomitanza con le ultime ferie estive, è stata decisa con sentenza la causa di separazione giudiziale, di cui non mi riassume il contenuto, ma che, in assenza di altri diversi dettagli in merito e in considerazione delle sue richieste, presumo abbia previsto e disciplinato un diritto/dovere di visita del padre, a cui, invece, il suo ex marito si sta sottraendo.
Orbene, per trattare casi come il suo, e, così, per indurre il genitore inadempiente a ravvedersi, la L. 56 del 2006 ha introdotto i rimedi di carattere sanzionatorio e risarcitorio di cui all’art. 709 ter del Codice di Procedura Civile.
Partendo dall’analisi della lettera del testo, il II comma della citata norma, così, recita: “A seguito del ricorso, il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni. In caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento, può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente:
1) ammonire il genitore inadempiente;
2) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore;
3) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro;
4) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende. …”.
In sostanza, l’intervento del giudice dovrebbe essere finalizzato a superare eventuali difficoltà pratiche o contrasti tra genitori che spesso emergono nella fase di attuazione dei provvedimenti giudiziali che dispongono sull’affidamento dei figli o in materia di esercizio della potestà genitoriale.
I genitori, comunque, potranno rivolgersi al giudice, anche in mancanza di una controversia insorta tra di loro, allorché si siano verificate delle gravi inadempienze – quali, ad esempio, l’inadempimento totale o parziale all’obbligo di mantenimento dei figli – o violazioni – quali, ad esempio, gli ostacoli frapposti alla frequentazione o la discontinuità nell’esercizio della frequentazione stessa con i figli – da parte di uno dei genitori, rispetto al provvedimento di affidamento; o, ancora, nel caso in cui inadempienze e violazioni si sovrappongano, come avviene quando un genitore assume unilateralmente una decisione di maggiore interesse per il figlio – ad esempio, modificandone il luogo di residenza con uno maggiormente distante dal genitore non collocatario.
In tutti questi casi il giudice, una volta accertate le gravi inadempienze e/o l’esistenza di atti che arrechino pregiudizio al minore ostacolando il corretto svolgimento delle modalità di affidamento, potrà modificare i provvedimenti in vigore oppure adottare una o più delle misure coercitive e sanzionatorie previste (così come, recentemente, confermato anche da Cass. Civ., sez. II., ordinanza 2 aprile 2013 n. 8016 Pres. Plenteda, rel. Scaldaferri).
Tra di esse, al n. 1, vi è, innanzitutto, la sanzione dell’ammonimento, che consiste nell’avvertimento del genitore inadempiente al rispetto di quanto deciso nella sentenza o nell’accordo di separazione o di divorzio. Si tratta, dunque, di un semplice deterrente psicologico a non reiterare quei comportamenti ai quali fa espresso riferimento la norma (“gravi inadempienze o … atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento”).
Tuttavia, deve rilevarsi che l’efficacia di tale misura è assai dubbia, non avendo delle ripercussioni, a livello pratico, immediate e incisive.
Vi è, poi, la sanzione amministrativa pecuniaria da corrispondersi in favore della Cassa delle ammende, prevista nella misura minima di euro 75 fino ad un massimo di euro 5.000, che può anche essere comminata congiuntamente all’ammonimento e costituisce anch’essa un deterrente al ripetersi dei comportamenti contrari alla norma.
E’ una misura coercitiva a carattere patrimoniale che, secondo la dottrina prevalente, sarebbe assimilabile ad analoghi istituti utilizzati in Francia e in Germania.
Il Giudice ha discrezionalità nella individuazione della misura da applicare al caso concreto, che viene essenzialmente commisurata alla gravità della condotta: tanto più importante è l’inadempimento del genitore, tanto più incisivo sarà il trattamento sanzionatorio comminato dall’Autorità.
Inoltre, nel caso in cui lo scorretto comportamento di uno dei genitori verso il figlio sia causa anche di evidenti pregiudizi per l’altro genitore o per il minore, è prevista un’ulteriore misura, e cioè il risarcimento dei danni.
Sempre con maggior frequenza, i giudici pronunciano condanne risarcitorie, per lo più, ritenendo il danno una naturale conseguenza del deprecabile comportamento meritevole di condanna (come i c.d. punitive damages di origine nordamericana).
In tal senso, ad esempio, si segnala la decisione della Corte di Appello di Firenze che il 29 agosto 2007, pubblicata quindi poco dopo l’entrata in vigore della L. 54 del 2006, che ha condannato al risarcimento per il danno subito dal minore a causa della privazione della frequentazione paterna.
In tempi più recenti, poi, e nello stesso senso di un’ampia applicazione dell’art. 709 ter c.p.c., si ricorda anche la decisione del Tribunale di Catania, I sezione, del 23.11.2012.
Nel caso esaminato dal Tribunale siciliano, la situazione familiare era totalmente compromessa, poiché il padre già da quattro anni aveva cessato di corrispondere l’assegno di mantenimento e di contribuire alle spese straordinarie per la figlia. Inoltre, lasciava trascorrere mesi interi senza cercare la figlia, non ottemperando con regolarità al diritto-dovere di visita. La madre era stata costretta più volte a ricorrere ad azioni esecutive nei confronti dell’ex marito per ottenere il mantenimento.
Ebbene, il Collegio ha ritenuto di emanare sia l’ammonimento e l’invito ad astenersi in futuro da condotte qualificabili di violazione delle prescrizioni contenute nel decreto di omologa della separazione, sia la sanzione amministrativa pecuniaria della somma di 1.000 euro.
Quanto al risarcimento del danno, è stato quantificato in via equitativa nella somma di 6.000 euro, di cui 3.000 per la figlia e 3.000 per la madre.
Per completezza, è, infine, doveroso precisare che tutti i rimedi fino a questo momento esposti possono essere richiesti all’Autorità Giudiziaria in sede civile, nel corso di un procedimento di separazione o divorzio, ovvero, come nel suo caso, all’esito di essi.
Tuttavia, le condotte inadempienti di un genitore possono integrare anche il reato di cui all’art. 570 del Codice Penale, intitolato appunto “Violazione degli obblighi di assistenza familiare”.
E’ dunque possibile per un genitore presentare una querela ai carabinieri per denunciare i comportamenti dell’altro, che si sia sottratto ai propri doveri di assistenza inerenti alla potestà genitoriale.
A tal proposito, si riporta lo stralcio di una interessante sentenza della Corte di Cassazione, sez. VI, del 24 ottobre 2013 n. 51488, che, occupandosi di un contesto familiare davvero molto problematico, ben riassume gli attuali orientamenti della giurisprudenza in argomento: “[…] i Giudici di merito hanno concordemente rilevato che l'imputato ha sempre assunto un atteggiamento di totale disinteresse nei confronti del figlio minore, ponendo in evidenza come egli, assente al momento della nascita del figlio, sin dall'inizio non si sia curato affatto di conoscerlo, ma lo abbia visto solo un paio di settimane dopo, quando la moglie, di sua iniziativa, accampando la scusa che il bambino stesse male, lo portò presso il luogo di lavoro ove si trovava l'imputato.
Tale situazione di sostanziale disinteresse e costante indifferenza è rimasta del tutto immutata nel tempo, atteso che l'imputato, dopo averlo incontrato per iniziativa del moglie, ha continuato a non avere alcun contatto con il figlio e si è rifiutato di instaurare con lui qualsiasi forma di rapporto affettivo, con la conseguenza che egli ha potuto contare solo sulla piena e valida assistenza prestata dalla madre.
In tal guisa ricostruito il contesto storico-fattuale della regiudicanda, è d'uopo rilevare come i Giudici di merito abbiano fatto buon governo del quadro di principii che regolano la materia, […] osservando che la condotta dell'imputato […] integra la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 570 c.p., comma 1, in quanto assume una connotazione di particolare gravità e pregiudizio per il minore, costringendolo a crescere privo di una delle due fondamentali relazioni affettive, necessaria per un'adeguata ed armonica formazione della sua personalità e per agevolare lo svincolo dalla figura materna, con ripercussioni negative sullo sviluppo e sulle capacità relazionali del minore.
A tale riguardo, invero, la Corte palermitana si è uniformata alla linea interpretativa che questa Suprema Corte ha da tempo tracciato, allorquando ha stabilito che la condotta contraria all'ordine e alla morale delle famiglie presa in considerazione dell' art. 570 c.p., comma1, non è punita di per sè, ma solo in quanto abbia avuto per risultato la violazione degli obblighi assistenziali inerenti alla potestà genitoriale, alla tutela legale e alla qualità di coniuge.
Ne consegue che la violazione degli obblighi di assistenza morale ed affettiva verso i figli, certamente integrata dal totale disinteresse e dalla costante indifferenza verso costoro, assume rilievo penale soltanto se si riflette negativamente sui figli minori, in quanto solo in questo caso viene ad esaltarsi il rapporto genitore-figlio, con precipuo riferimento agli obblighi connessi alla potestà di genitore (Sez. 6^, n. 26037 del 25/03/2004, dep. 09/06/2004, Rv.229779).
Entro tale prospettiva, inoltre, si è rilevato che gli obblighi di assistenza morale ed affettiva, incombenti sull'esercente la potestà di genitore ai sensi dell'art. 570 c.p., comma 1, vengono meno solo con il raggiungimento della maggiore età dei figli (Sez. 6^, n. 12306 del 13/03/2012, dep. 02/04/2012, Rv. 252603). […] Pertanto, se è legittimo l'affidamento di figli minori ad altri che moralmente ed economicamente sia in grado di provvedere al loro mantenimento, alla loro educazione e istruzione, è da ritenere tuttavia contraria all'ordine e alla morale della famiglia una condotta omissiva che concreti, da un lato, il completo disinteresse dei genitori nei loro riguardi, e, dall'altro lato, la consapevole certezza da parte dei figli di non poter contare sulla guida, sull'aiuto, sull'affetto, sul consiglio e sulla costante protezione dei genitori (Sez. 6^, n. 4381 del 16/03/1973, dep. 29/05/1973, Rv. 124198).[…]
La fattispecie incriminatrice in esame deve ritenersi posta essenzialmente a presidio dei contenuti non direttamente economico- patrimoniali dell'assistenza giuridicamente spettante ai coniugi ed ai figli, mirando a preservare, all'interno della relazione genitoriale, la continuità del rapporto educativo-assistenziale che deve sempre intercorrere tra genitori e figli minori, anche a prescindere dalle vicissitudini dei legami coniugali.
Entro tale prospettiva, dunque, deve cogliersi il contenuto di offensività della figura criminosa descritta nell'art. 570 c.p., comma 1, il cui nucleo strutturale si raccoglie attorno ad una condotta omissiva di sottrazione agli obblighi assistenziali lato sensu intesi - non solo quelli di matrice "economica", quindi, ma anche quelli, su richiamati, di cura e solidarietà intra-familiare, volti a rendere possibile un'evoluzione completa ed equilibrata della personalità del minore - condotta le cui note modali, per le oggettive caratteristiche di durata, rilevanza ed intensità della violazione, consentano di ritenere attinto un sufficiente livello di gravità, tale da compromettere o porre concretamente in pericolo l'ordinario funzionamento della compagine familiare, o comunque del rapporto giuridico familiare rilevante nel caso di specie.
Non rileva, dunque, qualsiasi inadempimento degli obblighi di assistenza familiare, ma solo quella condotta omissiva in concreto idonea a ripercuotersi negativamente sugli interessi del minore, ponendone seriamente in pericolo, attraverso una sostanziale dismissione delle funzioni connesse al ruolo genitoriale, i presupposti e le condizioni poste a presidio di un pieno ed equilibrato sviluppo della sua personalità.
L'ambito di applicazione della norma, di conseguenza, deve considerarsi limitato a quei comportamenti che esprimano una significativa ed apprezzabile compromissione delle più elementari esigenze di cura ed assistenza del figlio minore o del coniuge, senza incidere su fatti contrassegnati da minimo disvalore offensivo o da mere disfunzioni dei rapporti intra-familiari. Nel caso in esame, come si è già avuto modo di osservare, la pronuncia impugnata ha posto in evidenza come la condotta di aperto rifiuto e disinteresse posta in essere dall'imputato possa indurre nel bambino sentimenti di colpa, di abbandono e di scarsa autostima, anche in ragione della sofferenza derivante dal confronto con gli altri coetanei, inseriti in un quadro di relazioni familiari stabilmente costituite, o comunque in grado di rapportarsi continuativamente con la figura genitoriale del padre […]”.
Nel Suo caso non posso sapere se la sua situazione familiare sia altrettanto grave da giustificare un’iniziativa forte come quella di denunciare il padre di suo figlio.
Certamente, prima di fare qualunque cosa, la domanda più difficile alla quale dovrà trovare una risposta è quella che si è giustamente posta lei, e cioè che valore possa avere per suo figlio una frequentazione ottenuta con la forza e, mi permetterei di aggiungere, che ripercussioni potrebbero avere, anche a livello psicologico, su suo figlio eventuali nuove battaglie contro il padre.
Purtroppo, però, né un avvocato né la legge possono fornirle delle risposte e, tantomeno, certezze in merito a questi delicati interrogativi, che può valutare solo lei, soppesando cosa sia meglio per il benessere e la serenità del minore. Mi rendo conto che non è di sicuro facile.
Un tempo, prima della L. 54 del 2006 – e potrei offrire a riprova di ciò anche sentenze che hanno deciso casi trattati dal mio studio – c’erano giudici convinti che non si potesse obbligare coattivamente un padre a frequentare un figlio. Oggi, tutto è cambiato. Sono cambiate le norme e anche gli orientamenti in materia di diritto di famiglia che sono più severi. Pertanto, se dovesse ritenere che la scelta giusta nell’interesse di suo figlio è quella di fare qualcosa, l’ordinamento con gli strumenti che le ho spiegato può aiutarla nel suo intento.
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01 ottobre 2014
inf sulla riforma l. 132 cc :
Informazione come faccio la denuncia mi ex non mi fa vedere mio figlio l. 132 cc 2015 multa hai genitore inadempenti | mercoledì 03 febbraio 2016 12:00 Rispondi