Se l’inquilino paga i canoni arretrati durante la causa di sfratto, se ne deve andare comunque?
02 ottobre 2015
Stimato Avvocato,
volevo avere alcune informazioni sugli strumenti che può avere un proprietario nei confronti del suo inquilino.
Se l'inquilino non paga per diversi mesi, è risaputo che il proprietario può fargli lo sfratto.
Ma se, poi,nel corso della causa,l'inquilino paga i canoni scaduti cosa succede?
... se ne deve andare comunque? E chi lo paga l'avvocato?
Grazie. Filomena
Gentile Signora,
la disciplina delle locazioni trova regolamentazione sia nel Codice Civile sia in diverse leggi specifiche (L. 392/78 e L. 431/1998 e successive modifiche).
Per rispondere puntualmente alle sue domande, però, preliminarmente, sarebbe necessario sapere se l’immobile in questione è stato concesso in godimento all’inquilino ad uso abitativo o non abitativo.
Per intenderci, quindi, se il bene è destinato ad essere utilizzato come abitazione ovvero come luogo per lo svolgimento di attività, industriali, commerciali, artigianali (laboratori, negozi, studi professionali, etc.).
Per regola generale scaturente dal combinato disposto degli artt. 1453 e 1455 del Codice Civile, infatti, quando nei contratti a prestazioni corrispettive (nei quali rientra anche il contratto di locazione) uno dei contraenti non adempie alle sue obbligazioni, l’altro, se tali inadempienze non sono di scarsa importanza, può richiedere al Giudice che il rapporto venga risolto (e, dunque, sciolto).
Da tale richiesta, inoltre, la parte inadempiente non può più provvedere alla prestazione.
Il che significa che, in applicazione della regola generale su evidenziata, dalla domanda giudiziale di intimazione di sfratto per morosità, un pagamento tardivo dei canoni da parte dell’inquilino non avrebbe l’effetto e la capacità di impedire che il Giudice condanni il medesimo alla restituzione del bene al suo proprietario.
Senonchè, per quanto riguarda le sole locazioni stipulate per uso abitativo, il Legislatore ha previsto una deroga a tale disciplina con l’art. 55 della L. 27 luglio 1978 n. 392 che recita come segue: “La morosità del conduttore nel pagamento dei canoni o degli oneri di cui all’articolo 5 (e cioè: canoni di locazione e oneri accessori dall’importo superiore a due mensilità del canone) può essere sanata in sede giudiziale per non più di tre volte nel corso di un quadriennio se il conduttore alla prima udienza versa l’importo dovuto per tutti i canoni scaduti e per gli oneri accessori maturati sino a tale data, maggiorato degli interessi legali e delle spese processuali liquidate in tale sede dal giudice”.
Ove il pagamento delle suddette somme, poi, non avvenga in udienza, il Giudice potrà concedere al conduttore, un termine c.d. di grazia, perentorio e non derogabile, non superiore a 90 giorni (che può essere aumentato fino a 120 giorni in particolari e tassativi casi), per sanare la morosità.
Nel caso, onori integralmente il dovuto, e, così, provveda al pagamento dei canoni, delle spese accessorie, dei relativi interessi e delle spese legali liquidate, potrà proseguire nel rapporto di locazione.
Diversamente, il contratto verrà dichiarato risolto e verrà fissato un termine per l’inizio dell’esecuzione (e, dunque, per l’inizio della procedura di c.d. sloggio).
In passato, parte della dottrina e della giurisprudenza ha cercato di estendere l’applicazione di tale sanatoria anche alle locazioni commerciali, ma a seguito della sentenza n. 272/1999 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione - che ha sposato il diverso principio per cui per i rapporti di locazione aventi ad oggetto immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo deve trovare appunto applicazione la più generale disciplina dettata dagli artt. 1453 e ss. del Codice Civile – oggi tale possibilità di estensione viene assolutamente negata (Cfr., ad esempio, anche Cass. Civ. sez. III, 31 maggio 2010 n. 13248).
L’inquilino, in ipotesi di contratti di locazione “commerciali”, dopo l’inizio di una causa, potrà, dunque, rimanere nell’immobile solo se una clausola di sanatoria analoga a quella prevista dalla disciplina speciale di cui al citato art. 55 L. 392/1978 è stata inserita su accordo delle parti, in sede di redazione del contratto, ovvero se il locatore glielo concede, rinunciando così alla domanda di risoluzione e di restituzione del bene.
Lo sfratto, però, è un procedimento molto particolare e, quando viene incardinato a causa della morosità del conduttore, è necessario che, al momento dell’udienza, il locatore/creditore dia atto della sua persistenza ex art. 663 c.p.c., senza che vi siano contestazioni da parte del debitore, perché possa ottenersi immediatamente un provvedimento di risoluzione del contratto e di rilascio.
Potrebbe, dunque, accadere che il conduttore, una volta ricevuto l’atto giudiziario che lo convoca davanti al Giudice, tenti di fare il furbo, paghi solo i canoni scaduti, pensando che potrà tenersi il bene, perché il proprietario non potrà rendere la ridetta dichiarazione di persistenza della morosità dinnanzi al Giudice, e pensando, altresì, così facendo, di evitare anche gli ulteriori oneri rappresentati dagli interessi e dalle spese legali che, invece, il padrone di casa deve affrontare per aver incardinato un processo.
La faccenda, sul piano pratico, non è affatto semplice.
E’ risaputo quanto sia arduo per un proprietario tornare in possesso (in tempi brevi) del suo bene quando l’inquilino decide di dargli “filo da torcere” approfittandosi delle storture e delle lungaggini del nostro sistema giudiziario.
Proprio per questo, quando si verifica un’ipotesi come quella prospettata poc’anzi, capita che la soluzione più veloce e indolore, a livello di costi/benefici, sia quella di dare un’altra possibilità al conduttore e, dunque, abbandonare il procedimento, “leccandosi le ferite”, ma contenendo per quanto possibile i danni nella speranza di evitare di immobilizzare il bene per mesi (o anni) senza più percepire più un euro.
Tuttavia, un proprietario determinato e stufo del comportamento furbetto – e, magari, recidivo - del suo inquilino, potrà decidere legittimamente di non arrendersi e andare avanti.
In questo caso, il Giudice dovrà disporre il mutamento dello sfratto in un procedimento a cognizione piena, in cui il locatore/proprietario potrà, appunto, far valere quel principio di “cristallizzazione dell’inadempimento” di cui al già citato art. 1453 del Codice Civile, e cioè la regola generale per cui dalla data della domanda di risoluzione – che coincide con la notifica dell’intimazione di sfratto - l’inadempiente non può più onorare la propria obbligazione.
Potrà, così, ottenere la risoluzione del contratto di locazione e la condanna del conduttore al rilascio dell’immobile oggetto di causa, nonché al pagamento dei compensi dell’avvocato, poiché le spese di lite seguono sempre la soccombenza.
Deve, però, avere molta pazienza, sia per ottenere questo risultato sia per tornare nel possesso del bene e, soprattutto, per recuperare coattivamente le somme dovute e nel frattempo ulteriormente maturate, che non è detto l’inquilino decida di rimborsare e pagare spontaneamente.
Anche per questo, prima di salutarla, il consiglio che mi sento di dare a Lei e a tutti i lettori è quello di non sottovalutare il momento della redazione del contratto, evitando di affidarsi a formulari preconfezionati, poiché in tale occasione è possibile valutare il singolo caso e studiare delle opzioni utili per affrontare queste sgradevoli situazioni con minor disagio, anche economico.
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volevo avere alcune informazioni sugli strumenti che può avere un proprietario nei confronti del suo inquilino.
Se l'inquilino non paga per diversi mesi, è risaputo che il proprietario può fargli lo sfratto.
Ma se, poi,nel corso della causa,l'inquilino paga i canoni scaduti cosa succede?
... se ne deve andare comunque? E chi lo paga l'avvocato?
Grazie. Filomena
Gentile Signora,
la disciplina delle locazioni trova regolamentazione sia nel Codice Civile sia in diverse leggi specifiche (L. 392/78 e L. 431/1998 e successive modifiche).
Per rispondere puntualmente alle sue domande, però, preliminarmente, sarebbe necessario sapere se l’immobile in questione è stato concesso in godimento all’inquilino ad uso abitativo o non abitativo.
Per intenderci, quindi, se il bene è destinato ad essere utilizzato come abitazione ovvero come luogo per lo svolgimento di attività, industriali, commerciali, artigianali (laboratori, negozi, studi professionali, etc.).
Per regola generale scaturente dal combinato disposto degli artt. 1453 e 1455 del Codice Civile, infatti, quando nei contratti a prestazioni corrispettive (nei quali rientra anche il contratto di locazione) uno dei contraenti non adempie alle sue obbligazioni, l’altro, se tali inadempienze non sono di scarsa importanza, può richiedere al Giudice che il rapporto venga risolto (e, dunque, sciolto).
Da tale richiesta, inoltre, la parte inadempiente non può più provvedere alla prestazione.
Il che significa che, in applicazione della regola generale su evidenziata, dalla domanda giudiziale di intimazione di sfratto per morosità, un pagamento tardivo dei canoni da parte dell’inquilino non avrebbe l’effetto e la capacità di impedire che il Giudice condanni il medesimo alla restituzione del bene al suo proprietario.
Senonchè, per quanto riguarda le sole locazioni stipulate per uso abitativo, il Legislatore ha previsto una deroga a tale disciplina con l’art. 55 della L. 27 luglio 1978 n. 392 che recita come segue: “La morosità del conduttore nel pagamento dei canoni o degli oneri di cui all’articolo 5 (e cioè: canoni di locazione e oneri accessori dall’importo superiore a due mensilità del canone) può essere sanata in sede giudiziale per non più di tre volte nel corso di un quadriennio se il conduttore alla prima udienza versa l’importo dovuto per tutti i canoni scaduti e per gli oneri accessori maturati sino a tale data, maggiorato degli interessi legali e delle spese processuali liquidate in tale sede dal giudice”.
Ove il pagamento delle suddette somme, poi, non avvenga in udienza, il Giudice potrà concedere al conduttore, un termine c.d. di grazia, perentorio e non derogabile, non superiore a 90 giorni (che può essere aumentato fino a 120 giorni in particolari e tassativi casi), per sanare la morosità.
Nel caso, onori integralmente il dovuto, e, così, provveda al pagamento dei canoni, delle spese accessorie, dei relativi interessi e delle spese legali liquidate, potrà proseguire nel rapporto di locazione.
Diversamente, il contratto verrà dichiarato risolto e verrà fissato un termine per l’inizio dell’esecuzione (e, dunque, per l’inizio della procedura di c.d. sloggio).
In passato, parte della dottrina e della giurisprudenza ha cercato di estendere l’applicazione di tale sanatoria anche alle locazioni commerciali, ma a seguito della sentenza n. 272/1999 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione - che ha sposato il diverso principio per cui per i rapporti di locazione aventi ad oggetto immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo deve trovare appunto applicazione la più generale disciplina dettata dagli artt. 1453 e ss. del Codice Civile – oggi tale possibilità di estensione viene assolutamente negata (Cfr., ad esempio, anche Cass. Civ. sez. III, 31 maggio 2010 n. 13248).
L’inquilino, in ipotesi di contratti di locazione “commerciali”, dopo l’inizio di una causa, potrà, dunque, rimanere nell’immobile solo se una clausola di sanatoria analoga a quella prevista dalla disciplina speciale di cui al citato art. 55 L. 392/1978 è stata inserita su accordo delle parti, in sede di redazione del contratto, ovvero se il locatore glielo concede, rinunciando così alla domanda di risoluzione e di restituzione del bene.
Lo sfratto, però, è un procedimento molto particolare e, quando viene incardinato a causa della morosità del conduttore, è necessario che, al momento dell’udienza, il locatore/creditore dia atto della sua persistenza ex art. 663 c.p.c., senza che vi siano contestazioni da parte del debitore, perché possa ottenersi immediatamente un provvedimento di risoluzione del contratto e di rilascio.
Potrebbe, dunque, accadere che il conduttore, una volta ricevuto l’atto giudiziario che lo convoca davanti al Giudice, tenti di fare il furbo, paghi solo i canoni scaduti, pensando che potrà tenersi il bene, perché il proprietario non potrà rendere la ridetta dichiarazione di persistenza della morosità dinnanzi al Giudice, e pensando, altresì, così facendo, di evitare anche gli ulteriori oneri rappresentati dagli interessi e dalle spese legali che, invece, il padrone di casa deve affrontare per aver incardinato un processo.
La faccenda, sul piano pratico, non è affatto semplice.
E’ risaputo quanto sia arduo per un proprietario tornare in possesso (in tempi brevi) del suo bene quando l’inquilino decide di dargli “filo da torcere” approfittandosi delle storture e delle lungaggini del nostro sistema giudiziario.
Proprio per questo, quando si verifica un’ipotesi come quella prospettata poc’anzi, capita che la soluzione più veloce e indolore, a livello di costi/benefici, sia quella di dare un’altra possibilità al conduttore e, dunque, abbandonare il procedimento, “leccandosi le ferite”, ma contenendo per quanto possibile i danni nella speranza di evitare di immobilizzare il bene per mesi (o anni) senza più percepire più un euro.
Tuttavia, un proprietario determinato e stufo del comportamento furbetto – e, magari, recidivo - del suo inquilino, potrà decidere legittimamente di non arrendersi e andare avanti.
In questo caso, il Giudice dovrà disporre il mutamento dello sfratto in un procedimento a cognizione piena, in cui il locatore/proprietario potrà, appunto, far valere quel principio di “cristallizzazione dell’inadempimento” di cui al già citato art. 1453 del Codice Civile, e cioè la regola generale per cui dalla data della domanda di risoluzione – che coincide con la notifica dell’intimazione di sfratto - l’inadempiente non può più onorare la propria obbligazione.
Potrà, così, ottenere la risoluzione del contratto di locazione e la condanna del conduttore al rilascio dell’immobile oggetto di causa, nonché al pagamento dei compensi dell’avvocato, poiché le spese di lite seguono sempre la soccombenza.
Deve, però, avere molta pazienza, sia per ottenere questo risultato sia per tornare nel possesso del bene e, soprattutto, per recuperare coattivamente le somme dovute e nel frattempo ulteriormente maturate, che non è detto l’inquilino decida di rimborsare e pagare spontaneamente.
Anche per questo, prima di salutarla, il consiglio che mi sento di dare a Lei e a tutti i lettori è quello di non sottovalutare il momento della redazione del contratto, evitando di affidarsi a formulari preconfezionati, poiché in tale occasione è possibile valutare il singolo caso e studiare delle opzioni utili per affrontare queste sgradevoli situazioni con minor disagio, anche economico.
Avvocato Luigi Lucente
La redazione si riserva di sottoporre all'attenzione dello Studio Legale Lucente solo i casi più interessanti segnalati.
www.studiolegalelucente.it
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02 ottobre 2015
Patrizia Diviccaro :
Buongiorno un anno e mezzo fa ho chiuso il mio locale commerciale di bar avendo ricevuto sfratto esecutivo adesso passato un anno e mezzo il proprietario del locale mi chiede e soldi arretrati io nn ho un contratto a tempo determinato come devo fare? | giovedì 23 giugno 2016 12:00 Rispondi