L'affascinante vita degli ultimi pastori milanesi, fatta di passione per la natura, nomadismo e solitudine

Nel mio girovagare in bicicletta tra i campi dei comuni dell’hinterland milanese, mi è capitato sovente di incontrare, nel periodo ottobre-marzo, greggi di pecore che pascolano fresche erbe incolte.
Curioso e affascinato dal mondo della pastorizia mi soffermo a parlare con i pastori per conoscere il loro modo di vivere, la provenienza, la consistenza del gregge, ecc…

Vi siete mai chiesti da dove vengono questi pastori e com’è la loro vita oggi?
Ne ho incontrati diversi, in pianura, ma soprattutto in montagna, nelle valli bergamasche dove trascorro le vacanze estive (ho una casa in alta Val Seriana) e tutti, dico proprio tutti, conoscono Peschiera Borromeo, Segrate, Pioltello, Mediglia, ecc… perché qui vengono a svernare con i loro greggi.
Il numero di pecore che compongono oggi il gregge del pastore bergamasco non è inferiore ai 300 capi; disponendo di un gruppo di ovini di questa quantità, il pastore può vendere annualmente dai 50 ai 100 capi, il che gli assicura un guadagno più che sufficiente; infatti oggi il maggior provento della pastorizia bergamasca non è più la lana, come in passato: essa costituisce un prodotto “secondario”, fornito da ogni pecora nella misura di 3,2 kg all’anno, perché non è competitiva come quella di altre razze (es. le merinos) e viene utilizzata solo per cuscini e materassi. 
In generale un gregge bergamasco è composto di circa 700-800 capi.
Del gregge fanno parte integrante le capre, in ragione di 7-8: esse fungono da sostitute-madri per gli agnelli, in caso di morte delle pecore che li hanno partoriti. Non bisogna infine dimenticare gli asini e i cani, la cui funzione è insostituibile. Oltre a trasportare il bagaglio del pastore, l’asino trasporta anche gli agnelli che non sono in grado di camminare. Quanto al cane il suo lavoro vale quanto e più di quello di un uomo, nel senso che lo sostituisce in parecchie occasioni e mansioni: negli spostamenti, se il gregge procede lungo una strada carreggiabile, sa come disporre le pecore in modo da lasciar passare i veicoli; al pascolo, sa radunare il gregge o ritrovare una pecora che si è persa.
È dura la vita dei pastori, da sempre vita nomade, solitaria, lontana dagli affetti per la maggior parte dell’anno. È una vita infaticabile, perché gli animali hanno bisogno di assistenza continua. È fatta di grande passione, di grande amore per la natura, di grandi spazi, di cieli azzurri e notti stellate, ma anche di freddo e di intemperie e di solitudine.
Oggi, però, a differenza di tanti anni fa, la tecnologia li aiuta. La transumanza, lo spostamento dai monti alla pianura, avviene con mezzi di trasporto e non solo a piedi. Una roulotte accompagna i pastori per dormire la notte. I mezzi di comunicazione, radio e telefono, li tengono costantemente in contatto con i familiari e con il mondo. 
L’ultimo pastore nomade rimasto a Milano si chiama Renato Zucchelli, abita a Premenugo di Settala, dove tiene un ovile con 700 pecore nel periodo invernale. A primavera le porta in montagna, in alta Val Canale, valle laterale della più grande Val Seriana.
Renato è il protagonista del film di Marco Bonfanti “L’ultimo pastore”, presentato a Milano in anteprima a dicembre 2012 e in programmazione dal mese di gennaio 2013. 
Il film racconta, attraverso interviste, disegni e interpretazioni, il rapporto tra i bambini delle scuole elementari cittadine e un mondo che spesso non hanno mai visto dal vivo: quello di un pastore e del suo gregge. L’ultima scena del film è stata girata in piazza Duomo dove Renato ha portato 700 delle sue pecore.
Nella frenetica Milano, principale bacino di vendita della carne ovina della bizzarra famiglia Zucchelli, Renato conduce una vita libera che si configura come una vera e propria fiaba arcaica: fiaba perché tutti i personaggi vivono felici nel veder realizzati i propri sogni, arcaica perché rappresenta un mondo ormai lontano dalla maggior parte di noi.
Dunque il pastore è in via d’estinzione? Speriamo proprio di no; incontrandolo vorremmo salutarlo non certo come curiosità etnografica, ma come lavoratore della montagna, ricco di tutta l’esperienza, la cultura, la dignità che secoli di tradizione gli hanno lasciato in eredità.
 
Walter Ferrari
Associazione Naturalista Carengione
tel: 339.7615179

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