E se una vostra foto finisse su un giornale o una rivista in bella mostra?

I più vanitosi, forse, potrebbero tutto sommato ricavarne un qualche piacere nel riconoscersi. Altri ancora, più narcisisti, probabilmente correrebbero a condividere l’evento con amici e parenti. Tuttavia non tutti siamo uguali, e attenzione: la tutela dell’immagine altrui è cosa molto seria

"Scatti rubati" e "diritto alla privacy"

Si segnala la sentenza del Tribunale di Pordenone, sez. civ., 29 agosto 2017 n. 634, Giudice Dott. Piero Leanza, con cui è stata decisa una controversia insorta proprio a seguito di qualche “scatto rubato”.

La vicenda trae spunto dalla pubblicazione di un’immagine non autorizzata su un catalogo pubblicitario a distribuzione capillare. Nello specifico, un conoscente dell’uomo “paparazzato” – poi escusso quale testimone nella fase istruttoria del giudizio –, sfogliando una rivista riconosceva l’amico in una foto che lo ritraeva in vacanza con in braccio il figlio minore, mentre accarezza un cervo.

Un’immagine certamente suggestiva, che però non deve essere piaciuta al soggetto direttamente coinvolto, il quale, sia in nome proprio che quale rappresentante legale del figlio minore, conveniva in giudizio la società responsabile della pubblicazione, chiedendone la condanna al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito.

La società convenuta – responsabile del catalogo pubblicitario – si costituiva in giudizio eccependo l’infondatezza delle domande attoree, di cui chiedeva il rigetto, e chiamando in causa una società terza da cui dichiarava di aver acquisito l’immagine, e che, da contratto, sarebbe stata a suo dire responsabile dell’ottenimento dei relativi consensi, domandando di essere dalla stessa manlevata in caso di accoglimento della domanda risarcitoria.

Si costituiva in giudizio, pertanto, anche la società che aveva procurato l’immagine in questione, che si opponeva ad ogni pretesa avversaria e contestualmente ne chiedeva il rigetto.

Dalle risultanze istruttorie del processo, in particolare, emergeva come, in effetti, la fotografia fosse stata scattata da un fotografo incaricato dalla società terza chiamata (circostanza riconosciuta anche dalla stessa), il quale, sentito dal giudicante nella veste di testimone, dichiarava di non ricordare se nella specifica occasione si fosse premurato o meno di ottenere dal soggetto fotografato il consenso alla pubblicazione e/o diffusione dell’immagine.

Inoltre, dall’istruttoria emergeva anche come la fotografia in questione: “ritraeva l’attore e il figlio in un contesto che, ex se considerato, non presentava alcun elemento atto a fornire un'immagine negativa dei soggetti in questione, né a ledere l'immagine, l'onore o la reputazione degli stessi … nulla (neanche la presenza del cervo, contrariamente a quanto allegato da parte attrice) può essere considerato come diffamatorio o denigratorio”.

Da ciò ne scaturiva che, una volta accertato lo svolgimento dei fatti, e analizzati gli elementi probatori a disposizione, la quaestio iuris al vaglio del Tribunale si riduceva attorno ad una valutazione in termini di risarcibilità, o meno, di una pubblicazione non autorizzata per il solo fatto di essere questa avvenuta, e a prescindere, quindi, da un suo contenuto denigratorio od offensivo.

Una querelle a cui l’Autorità giudicante ha risposto con cenno positivo.

Nel corpo della decisione si esprime il concetto secondo cui: “il diritto all’immagine si esplica, in particolare, nel diritto a non vedere esposta o pubblicata qualsiasi rappresentazione delle proprie sembianze senza il proprio consenso… La sola pubblicazione non autorizzata, o giustificata ex lege, è vietata e comporta, pertanto, in caso di mancato consenso, il diritto al risarcimento del danno (a prescindere dall’avvenuta lesione al decoro e alla reputazione della persona raffigurata)”.

L’assunto espresso dal magistrato nel provvedimento trova giustificazione nell’art. 10 del Codice Civile, che consente di ottenere per via giudiziale la cessazione dell’abuso (ossia, il ritiro dell’immagine dalla disponibilità pubblica) e il risarcimento del danno subito, non solo qualora dalla pubblicazione od esposizione dell’immagine ne sia derivato un “pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa” (o di un suo stretto congiunto – si legge nella norma – quale un genitore, il coniuge, o un figlio), ma anche in ogni altro caso in cui la diffusione sia avvenuta comunque “fuori dei casi in cui l’esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita”.

In particolare, la previsione codicistica si ricollega all’art. 96 della Legge n. 633 del 1941, ai sensi del quale il ritratto di una persona – a cui oggi è assimilabile una fotografia – “non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa, salve le disposizioni dell'articolo seguente”, ossia – come recita l’art. 97 della medesima legge – salvo il caso in cui “la riproduzione dell'immagine è giustificata dalla notorietà o dall'ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico”.

Nel caso sottoposto allo scrutinio del Tribunale, tuttavia, non essendo emersa alcuna delle sopraddette circostanze, e non essendo stata data prova alcuna in sede di giudizio dell’esistenza di un’autorizzazione alla pubblicazione della fotografia, l’Organo giudicante ha ritenuto la pubblicazione dell’immagine ritraente padre e figlio contra ius, e pertanto, ha giudicato legittime, ex art. 10 c.c., le pretese risarcitorie dei due soggetti in essa immortalati.

Il principio è espressione del dictum di matrice giurisprudenziale per cui la pubblicazione non autorizzata di una fotografia su una rivista, un giornale, o un catalogo, comporta già solo per il fatto stesso della pubblicazione illecita un diritto al risarcimento in favore del danneggiato (principio espresso, ex multis, in Cass. civ., sez. III, 16.05.2008, n. 12433).

Trattasi, infatti, di una fattispecie di illecito civile, ex art. 2043 c.c., da cui astrattamente ben potrà scaturire – come sottolinea il magistrato nel corpo del provvedimento – il ristoro di due distinte voci di danno: un danno patrimoniale, e un danno non patrimoniale.

Il primo, da individuarsi nel pregiudizio economico eventualmente risentito per effetto della pubblicazione, dovrà essere adeguatamente provato, anche se, tuttavia, in casi consimili (e allorché non possano essere provate specifiche voci di danno), questo potrà comunque ritenersi dedotto quantomeno nella misura del compenso che il soggetto avrebbe tratto dalla cessione volontaria dell’immagine, da valutarsi, quindi, in via equitativa, in considerazione della notorietà della persona raffigurata, del vantaggio conseguito dal soggetto che ha provveduto alla pubblicazione, e da ogni altra circostanza ricorrente nel caso concreto (a tal proposito si richiama: Cass. civ., sez. III, 11.05.2010,  n. 11353).

Quanto al secondo, invece, il riferimento non può che essere alla lesione del diritto alla riservatezza di cui ogni persona è unico e solo titolare, nonché alla violazione della tutela dei diritti inviolabili dell’uomo di cui all’art. 2 della Carta Costituzionale (che di per sé integra un’ipotesi legale di risarcibilità dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 c.c.), da valutarsi in via equitativa.

Nel caso di specie, pertanto, il Giudice ha ritenuto che: “considerata la non notorietà della persona raffigurata, da valutarsi in uno all’avvenuta pubblicazione dell’immagine di un minore ed alle finalità pubblicitarie perseguite dall’(…) con la capillare distribuzione del catalogo, e tenendo in considerazione la circostanza che nell’ambito del catalogo in questione la fotografia in questione rappresenta una minima parte del catalogo (in mezzo a tantissime altre), appare equa la liquidazione, a titolo di danni patrimoniali e non patrimoniali in favore dell’attore (in proprio e nella qualità di genitore del figlio minore), della somma omnicomprensiva di Euro 10.000,00 (Euro 5.000,00 in favore del sig. (…) in proprio ed Euro 5.000,00 in favore dello stesso nella qualità di genitore esercente la potestà sul figlio minore”.

Al ristoro del danno subito dagli attori, tuttavia, dovrà provvedere la società fornitrice dell’immagine, la quale, da contratto, garantiva sulla non violazione di diritti di terzi, e quindi, avrebbe dovuto procurarsi preventivamente l’autorizzazione alla pubblicazione dell’immagine.

 Avv. Luigi Lucente

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